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La violenza contro le donne può essere fermata con due armi:
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L’autore del delitto, infatti, è nel 48% dei casi il marito, nel 12% il convivente nel 23% l’ex. Si tratta in genere, secondo recenti stime, di un uomo tra i 35 e i 54 anni nel 61% dei casi, di un impiegato nel 21%, e di una persona istruita (il 46% ha la licenza media superiore e il 19% la laurea). Le donne-vittima sono comprese fra i 35 e 54 anni, hanno la licenza media superiore nel 53% e la laurea nel 22%. Più del 70% delle donne nel mondo hanno subito violenza almeno una volta nella vita, come ha ricordato ieri il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon. Ed è bene ricordare che la violenza si manifesta in vari modi, può essere fisica ma anche psicologica.
Secondo un’indagine nazionale «Quanto costa il silenzio?» presentata nei giorni scorsi da Intervita onlus, la violenza di genere ha anche pesanti costi sociali, pari a ben 16,719 miliardi di euro annui, di cui 2,377 sono costi diretti: sanitari (460,4 milioni), consulenza psicologica (158,7 mln), farmaci (44,5 mln), ordine pubblico (235,7 mln), giudiziari (421,3 mln), spese legali (289,9 mln), costi dei servizi sociali dei Comuni (154,6 mln) e dei centri antiviolenza (circa 8 milioni).
Date e manifestazioni per sensibilizzare
L’Onu nel 1999 ha indetto la giornata contro la violenza alle donne e ha fissato come data il 25 novembre che è la ricorrenza della tortura e eleminazione fisica di tre sorelle, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, su ordine del dittatore Rafael Trujillo, che si stavano battendo per la liberazione della Repubblica Domenicana, avvenuta il 25 novembre 1960.
Nel 2009 Elina Chauvet ha dato vita a “Zapatos rojos”, ovvero “scarpette rosse”: un’installazione in cui le scarpe rosse, del colore del sangue versato, rappresentano un corteo di donne che non ci sono più, vittime di violenza. L’artista realizza l’opera in Ciudad Juárez, città del Nord del Messico, dove a partire dal 1993 centinaia di ragazze sono state rapite, stuprate e uccise.
Leggi e cultura del rispetto
Abbiamo assistito all’uccisione di donne che avevano denunciato i loro aguzzini ma che non erano stati fermati. La legge sullo stalking non era abbastanza. Infatti lo scorso ottobre è stato approvato il decreto legge n. 93 su violenza di genere e sicurezza. Sono state aggiunte delle aggravanti (quando il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o del partner pure se non convivente; per chi commette maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori su donne incinta; per la violenza commessa alla presenza di minori di 18 anni), introdotte maggiori misure di controllo su chi commette violenza (allontamento dai luoghi del partener maltrattato, braccialetto elettronico, possibilità di indirizzare verso consultori, servizi di salute mentale e di dipendenza gli stolker) e maggiori tutele per le vittime (patrocinio gratuito dello Stato, le donne che denunciano non possono farlo in forma anonima ma saranno coperte almeno nella prima fase del procedimento per evitare ritorsioni, finanziamenti per i centri antiviolenza e le case-rifugio).
Ma accanto alle leggi è necessaria una cultura del rispetto, del prendersi cura dell’altro, che sia l’individuo di sesso diverso, che sia il bene comune. Accanto a un’atavica visione della donna sottomessa si aggiunge un’immagine dilagante della donna oggetto e compiacente, un modello di sfrenato individualismo-egosimo, un’esasperazione delle emozioni, il volgare diffondersi di opinionisti (di solito assoluti ignoranti) urlanti. Tutto appare legittimo, anche “darsi” per una ricarica telefonica. La spia più pericolosa va cercata nelle nuove generazioni, dove spesso risultano essere carenti le agenzie di formazione, famiglia e scuola, e sulle quali più che mai bisogna lavorare per sostuire la cultura della soppressione con quella della cura, la cultura della concorrenza spietata con quella della comunità e della solidarierà.