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della lotta al razzismo |
Aveva 95 anni, di cui 27 trascorsi nelle prigioni del regime sudafricano, prima della liberazione dall’apartheid e dell’elezione a presidente. I funerali avranno luogo il 15 dicembre e saranno preceduti il 10 da una grande celebrazione allo stadio di Soweto.
È stato il presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, vestito di nero e con il volto tirato, ha dare il triste annuncio della scomparsa di Mandela in un commosso discorso televisivo e dichiarando il lutto nazionale. La popolazione del Sudafrica seguiva da mesi con il fiato sospeso le condizione di salute di Madiba, ormai venerato quasi come un santo dai suoi connazionali: era stato ricoverato in ospedale quattro volte a causa di infezioni polmonari, conseguenze della turbercolosi contratta nei lunghi anni di prigione a Robben Island. Appena si è diffusa la notizia della sua morte una folla, fra cui tanti giovani, si è radunata sotto la sua casa.
Nelson Mandela è stato un uomo cresciuto nello spietato regime dell’apartheid razzista che oppresse il Sudafrica dal 1948 al 1994; un leader che ha abbracciato e guidato la lotta armata, ha trascorso quasi un terzo della vita in carcere e ne è uscito come un “Gandhi nero”, che con il suo messaggio di perdono e riconciliazione ha saputo trattenere il suo Paese dal lasciarsi travolgere dall’impulso della vendetta e del sangue.
Una “guerrigliere” della pace
Nelson Mandela era nato il 18 luglio 1918 da un ramo cadetto della famiglia reale dei Thembu, una tribù di etnia Xhosa che viveva in una fertile valle del Capo Orientale (Sudafrica), in un villaggio di capanne bianche. Il suo nome in lingua Xhosa, Rolihlahla, ha un significato profetico: “attaccabrighe”.
Sarà chiamato Nelson solo quando inizierà a frequentare il collegio coloniale britannico di Healdtown. Un nome affibbiato dall’insegnante, che sceglieva nomi inglesi a caso per i ragazzini sudafricani, al posto degli impronunciabili appellativi tribali. Dopo aver studiato giurisprudenza presso l’Università di Fort Hare, si impegnò nella lotta politica contro la discriminazione della popolazione dell’Africa nera, opponendosi al regime segregazionista bianco instaurato nel 1948 dal governo razzista del National Party.
La sua carriera politica era iniziata presto: nel 1944 fondò insieme a Walter Sisulu e Oliver Tambo l’organizzazione giovanile dell’African National Congress, un movimento politico che esisteva da oltre trent’anni per difendere i diritti della popolazione nera sudafricana.
Nel 1955, l’ANC approvò la sua Freedom Charter, la carta delle libertà, che molti decenni dopo sarebbe poi stata la base del proprio programma di governo. Da tre anni Mandela aveva aperto uno studio legale a Johannesburg insieme a Oliver Tambo, continuando l’impegno nell’ANC e parallelamente lavorando contro il sistema dell’apartheid. Nel 1956, insieme ad altri 155 attivisti, venne accusato di alto tradimento, ma dopo un processo durato quattro anni le accuse vennero ritirate.
Dopo numerose manifestazioni di protesta e duri scontri in piazza, tra cui il massacro di Sharpeville in cui 69 neri vennero uccisi dalla polizia, nel 1960 il National Party mise fuori legge l’ANC: Mandela, che era vicepresidente nazionale del movimento, entrò in clandestinità e abbandonò la lotta non violenta, appoggiando una campagna di attentati e sabotaggi.
Incarcerato all’inizio degli anni Sessanta, passò 27 anni in prigione e venne liberato solo nel 1990, lavorando poi al processo di transizione democratica che lo portò a vincere le elezioni con l’ANC nel 1994. Poco prima di essere eletto, nel 1993, Mandela aveva ricevuto il premio Nobel per la pace insieme all’ultimo presidente bianco del Sudafrica, de Klerk, “per il loro lavoro per la fine pacifica del regime dell’apartheid e per aver posto le basi per un nuovo Sudafrica democratico”. Dopo un mandato da presidente, terminato nel 1999, Mandela si dedicò soprattutto all’impegno umanitario attraverso la fondazione che porta il suo nome, la Nelson Mandela Foundation. Ebbe anche diversi ruoli di mediazione in alcune gravi crisi africane, come quelle nella Repubblica Democratica del Congo e in Burundi. Nel 2004 annunciò il suo ritiro dalla vita pubblica a causa dei suoi problemi di saluti.
Malgrado però le sue apparizioni pubbliche fossero ormai limitate, l’ex presidente continuava ad essere una presenza importantissima nell’immaginario collettivo, una sorta di simbolo dell’unità nazionale del nuovo Sudafrica, e di certo tale rimarrà.