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La sua è una denuncia palese contro l’America, contro chi nasconde sotto mentite spoglie, altruismo e democrazia, i propri interessi geopolitici, contro il governo afghano corrotto e crudele, misogino ed estremista. A causa della verità urlata Malalai è costretta a indossare, suo malgrado il burqa perché protegge la sua identità, e a vivere sotto scorta per i numerosi tentativi di ucciderla. Vogliono spegnere per sempre la sua voce, il suo richiamo alla giustizia e alla trasformazione, il suo appello al mondo intero affinché siano ritirate le truppe degli “invasori” e che il destino dell’Afghanistan sia rimesso nella mani della sua gente.
Malalai Joya
Malalai Joya, il cui vero nome è segreto per motivi di sicurezza, è un’attivista e parlamentare, sebbene nel 2003 sia stata espulsa dalla Loya Jirga, l’Assemblea del popolo chiamata ad approvare la nuova Costituzione, proprio a causa della sua accorata denuncia contro la corruzione e il passato – costellato da brutalità e soprusi commessi contro la nazione – della maggior parte dei parlamentari.
Nel 2010 è stato pubblicato “Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afgane”. Nell’opera, il cui scopo è abbattere il muro del silenzio e della falsità che copre i misfatti delle potenze della NATO, Joya mostra il vero volto dell’Afghanistan. Quello taciuto e nascosto, quello reale e concreto. Non solo talebani, guerrieri, narcotrafficanti, signori della guerra, ma, soprattutto, un popolo provato, deportato, massacrato, straziato, ma desideroso di ricostruire il proprio paese.
Un popolo unito che cerca e pretende la democrazia e non una sua pallida e fiacca imitazione. Malalai Joya è cresciuta durante una guerra che dura dal 1979, anno dell’occupazione sovietica. Da allora si sono avvicendati Russi, Talebani e Americani. Questi ultimi, sventolando la bandiera della democrazia e dell’emancipazione femminile, hanno, in verità, creato un governo composto – secondo Joya – da personaggi conosciuti per la loro crudeltà. I cosiddetti “Signori della Guerra” hanno approfittato della situazione politica instabile e appetitosa e, con sopraffazione e armi, si sono impossessati del potere. Per loro la parlamentare reclama giustizia, contro di loro punta il dito ed esige un processo per “crimini di guerra”.
Attraverso le dense pagine del libro, Malalai alterna i ricordi personali, legati alla propria famiglia e infanzia, a quelli dell’intero popolo afghano, congiunto da un unico destino di guerra, devastazione, violenze, distruzione, rinunce e sacrifici. Se per i giovani occidentali vedere un film al cinema, o ascoltare la musica è normale, per la generazione di Malalai è un’occasione straordinaria. Se per le Occidentali andare a scuola è una semplice abitudine, per le ragazze afghane è un rischio. Il gelato, per Joya, diventa il simbolo dei pochi ricordi felici, oscurati dal rumore dei camion di invasori o talebani pronti a perquisire, picchiare, violentare, torturare e uccidere impunemente e a proprio piacimento.
Una vita dedicata agli altri
La lotta di Malalai è iniziata con l’impegno per l’emancipazione e l’istruzione femminile. In uno dei campi profughi dove ha trascorso la sua infanzia, un’organizzazione non governativa «cercava persone disposte a insegnare a leggere e scrivere agli adulti e a dare una mano nelle classi destinate ai bambini.
Par contribuire al bilancio» fece domanda e, da allora, la sua vita è dedicata alla lotta per l’indipendenza femminile, per eliminare le leggi dei signori della guerra che continuano, sotto gli occhi del mondo, a limitare l’azione e le libertà femminili. Dati alla mano Joya sostiene che per le donne non esiste nemmeno il diritto alla vita: l’80% subisce violenze, il 57% dei matrimoni coinvolge ragazze minori di 16 anni, i matrimoni forzati e le “punizioni” con acido aumentano, come il numero delle donne che si suicidano per la disperazione e per porre fine alle violenze subite ogni giorno.
«In molte regioni le donne non possono neppure uscire di casa senza essere accompagnate da un partente maschio […] continuano a portare il burqa […], sotto certi punti di vista [oggi] la situazione è ancora peggiore, con un numero più elevato di suicidi e rapimenti, e la totale impunità per i casi di stupro».
Approfondimenti
– Malalai Joya, “Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afgane”, Piemme edizioni 2010;
– http://www.malalaijoya.com/dcmj;
– https://www.youtube.com/watch?v=0XyyrKFhMhA
La Chiesa anglicana è attualmente composta dalle due province ecclesiastiche di Canterbury e York, a cui fanno capo tutte le diocesi inglesi. La sede principale è quella di Canterbury, il cui arcivescovo ha un primato d’onore su tutta la comunione anglicana. Il Papa non ha alcuna giurisdizione ecclesiastica, poiché le funzioni di governatore supremo della Chiesa sono svolte dal Sovrano inglese.
Anche in molte città italiane sono presenti comunità anglicane che fanno capo alla diocesi europea con sede a Gibilterra.