Welfare state e pari opportunità

Lo Stato del benessere
è destinato a morire?


di Rossella Bufano

I welfare state occidentali si affermano nel Novecento, in pieno sviluppo economico e nei confini dello stato-nazione. Il periodo d’oro va dal dopoguerra fino agli anni ’80, quando si assiste contemporaneamente alla crescita del Pil degli stati e all’aumento della spesa pubblica.

 

Ma a partire dagli anni ’80 e ancor più nel corso degli anni ’90, una serie di fattori concomitanti, di natura economica, politica e sociale, decretano la messa in discussione dello stesso welfare. Da un lato c’è la crisi dell’economia che pone l’imperativo dei tagli e, dall’altro, i processi di globalizzazione e di europeizzazione che ridisegnano i margini di azione degli stati in materia economica e monetaria. Sul piano sociale, inoltre, una serie di trasformazioni, quali l’innalzamento della vita media (con il conseguente invecchiamento della popolazione), la drastica riduzione della natalità e la contrazione dei livelli di occupazione, contribuiscono a far crescere pesantemente la spesa per pensioni, assistenza sanitaria e sussidi di disoccupazione, fino a raggiungere livelli insostenibili.

I cambiamenti in atto fanno emergere anche inediti bisogni sociali ascrivibili a nuove categorie che necessitano di protezione: le donne, i giovani in cerca di prima occupazione, i precari, l’ambiente, il Sud del mondo, ecc. Ma i tradizionali sistemi di welfare si rivelano inadeguati a farvi fronte, determinando una situazione in cui aumenta progressivamente il divario fra nuovi problemi e vecchie soluzioni. «Si passa dalle crisi fiscali […] alle crisi ideologiche e filosofiche che mettono in discussione il fondamento operativo della solidarietà e alle crisi istituzionali della sovranità, quale paradigma irrinunciabile della democrazia».

Nasce così la necessità di analizzare e comparare i welfare adottati nei vari paesi occidentali per comprendere se vi è un modello che può affrontare le nuove sfide o se non sia giunta definitivamente la sua parabola discendente.

Il ricco dibattito che, a partire dagli anni ’90, coinvolge vari studiosi  vede la maggior parte di loro propendere per la riorganizzazione del welfare, soprattutto in termini di razionalizzazione, non potendo ignorare la necessità del contenimento dei costi, ma neanche i nuovi rischi sociali prodotti dalla rivoluzione che investe l’economia e l’istituto della famiglia. Si prospettano, infatti, nuove disuguaglianze, con la conseguente concentrazione della ricchezza e l’esclusione dal benessere delle masse, a dispetto del principio liberista, secondo il quale l’interesse personale è il motore di ogni economia efficiente e chi persegue il proprio benessere genera anche quello degli altri.

Numerosi economisti, studiosi di welfare e l’Unione europea denunciano che il rischio di polarizzazione sociale è imputabile all’ancora incompiuta rivoluzione delle donne (scarsa presenza nel mondo del lavoro, nei ruoli apicali, nella politica) e alla carenza di servizi alle famiglie e alla prima infanzia.
Si conferma, pertanto, la necessità di uno stato che si faccia garante, oltre che dell’inviolabile diritto di libertà, anche di quello di uguaglianza e che assicuri pari opportunità a tutti i cittadini.

 

(Da: Rossella Bufano, Welfare state e pari opportunità a partire da Esping-Andersen, in M. Mazzotta, Lo Stato del benessere nella società della conoscenza, Tangram, 2012).

 

 


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