Giornalismo e letteratura: esiste un confine?

Quando un articolo di giornale può essere considerato opera letteraria?


di Emanuela Boccassini


Un articolo difficilmente, oggi, diventa letteratura, perché la trasmissione con immagini delle notizie ha il sopravvento sul pezzo giornalistico. Ne consegue che lo scritto, spesso, passa in secondo piano e a ciò si unisce la trascuratezza della lingua, ridotta all’essenziale. Inoltre, la qualità, a volte, soccombe alla rapidità e all’urgenza con la quale si comunica.

 

L’11 dicembre del 1901 il «Giornale d’Italia», diretto da Alberto Bergamini, uscì con quattro articoli, redatti da altrettanti giornalisti, dedicati alla riproduzione teatrale di “Francesca da Rimini”. L’opera, scritta da Gabriele D’Annunzio, fu rappresentata al teatro Costanzi a Roma. Il direttore del giornale inserì gli interventi dei quattro giornalisti in un’unica pagina, la terza. Nel 1905 Luigi Albertini, giornalista ed editore, revisionò, sul «Corriere», la terza pagina e diede l’avvio a una “moda” imitata da tutta la stampa italiana.

Numerosi furono gli scrittori, famosi e meno, che iniziarono a collaborare con i giornali all’interno della terza pagina. Gli editori li invitavano a scrivere per dare maggiore credito al giornale, gli scrittori, tra cui Pirandello, Capuana, Buzzati, D’Annunzio Carducci, Collodi, De Amicis, Serao, Montale, Fogazzaro, ecc., arrotondavano la propria retribuzione da letterati. Nonostante ciò, alcuni disdegnavano l’attività giornalistica perché la intendevano come una fatica quotidiana, una distrazione o, addirittura, un’umiliazione. Altri, invece, la consideravano come un trampolino di lancio o un mezzo per esercitarsi nel bello scrivere.

In ogni caso, capitava spesso che fossero scritti articoli considerati “pezzi” di letteratura. Tale è valutato, per esempio, l’articolo “Una bomba contro il popolo” di Camilla Cederna, pubblicato su «L’espresso» del 21 dicembre 1969, nel quale la giornalista descrive con trasporto e dovizia di particolari il cambiamento dell’atmosfera da festosa prima dell’esplosione al caos generatosi dopo l’accaduto. Il sangue, i cadaveri, i parenti profondamente segnati nel voto dal dolore che cercavano di riconoscere i propri congiunti. La sofferenza e l’assurdità dall’atto terroristico. Come questo, tanti altri servizi di Pasolini, Bocca, Buzzati, Montale, Biagi, Montanelli sono considerati degni di un’opera letteraria. «Per parecchi scrittori […] il giornalismo e la letteratura sono come due mani dello stesso corpo, l’una aiuta l’altra e viceversa; lo scrittore e il giornalista sono due facce della stessa personalità» (Franco Zangrilli, La favola dei fatti. Il giornalismo nello spazio creativo, Milano, Edizioni Ares).

 

Aldo Palazzeschi considerava la terza pagina come «il salotto buono del giornale» per il quale era necessario «pulirsi i piedi per entrarci». Forse solo questa pagina è rimasta un luogo dove si scrive per il piacere di farlo, per condividere, con chi la legge, un po’ di cultura, di storia e tradizione popolare.

 

C’è chi sostiene che, benché abbia cambiato la localizzazione all’interno del giornale e si sia modificato il modo di fare giornalismo, tuttavia la terza pagina «come centro di polarizzazione di idee, di sollecitazioni culturali, sia pure diversamente organizzato, anzi “pensato”, non ha perduto la sua ragione d’essere». In principio, indubbiamente, permetteva un accostamento tra gente e cultura del tempo, dal momento che non tutti potevano comprare libri, molti si “accontentavano” dei giornali. Oggi, l’attività giornalistica sembra essere a rischio e condannata a un lento decadimento, in parte a causa della digitalizzazione delle informazioni. Tutti vogliono essere protagonisti della notizia, giornalisti a tutti i costi, e tra twitter, facebook e gli altri strumenti di comunicazione i “primi attori” delle varie vicende esprimono opinioni o dettano legge su quello o quell’altro argomento personalmente usando i social network. Pertanto nasce spontaneo chiedersi chi legga il corrispettivo della “terza” pagina. Chi sia veramente interessato alla cultura. Chi e perché scriva di cultura.

 

Rivolgerò alcune domande a tal proposito allo scrittore salentino Raffaele Polo, giornalista del “Quotidiano”

 

Ben trovato su Ripensandoci e grazie per la tua disponibilità

Esiste ancora la III pagina? In che cosa è viva e in cosa, invece, è morta o decaduta?

Se nella composizione “tradizionale” di un quotidiano, prima si riservava tradizionalmente la terza pagina agli argomenti culturali per eccellenza (recensioni, interviste ad autori, critiche letterarie e polemiche filosofiche, ad esempio), adesso la cosiddetta “cultura” è abilmente mescolata con lo spettacolo e con le pagine dedicate agli avvenimenti locali. O, addirittura, non è presente ufficialmente, ma finisce poi in un inserto, magari separato dal giornale vero e proprio. Si tratta, insomma, di scelte editoriali.

 

Oggi, chi legge il corrispettivo della “terza” pagina?

La terza pagina, se ci fosse, sarebbe letta dagli autori e dagli editori di libri, ovvero da chi è direttamente interessato ad un ‘evento’ culturale. Se si pensa alla mole enorme di libri pubblicati solo nel Salento, si comprende che non bastano gli spazi deputati alla ‘cultura’. Si scrive di ‘cultura’ perché ‘fa tendenza’ occuparsi di qualcos’altro che non siano le telenovelas e ‘Uomini e donne’, per non parlare delle partite del Lecce… Insomma, è sempre lo stesso: Cicero pro domo sua.

 

Che cos’è e come deve essere, secondo te, un articolo di cultura?

Un “pezzo” facilmente leggibile che tratti qualsiasi argomento, ma lo faccia con la forza e la sapienza che dà l’uomo colto, che istruisce senza apparire e riesce ad essere leggero nonostante il “peso” della cultura.

 

Il giornalismo fino al ‘900 inoltrato era una tappa di passaggio per gli autori di romanzi che facevano esperienza nei quotidiani e nelle riviste. La situazione oggi, secondo te, è cambiata? Se sì, come?

Cambiano i tempi, certo. Oggi, magari, le tappe sono scandite dai percorsi formativi per ottenere il sospirato credito necessario a non essere cancellati dall’Ordine dei Giornalisti… Credo che oggi bisogna farsi raccomandare presso un buon editore e la cosa è fatta. Se poi uno (o una) per caso sa anche scrivere, va bene lo stesso.

 

In alcuni scrittori giornalisti la duplice attività si configurava non come semplice lavoro parallelo, ma come interazione fertile, tale da incoraggiare nuove forme di giornalismo e da fornire impulso alla letteratura. Sei d’accordo? In che modo avviene?

Che paroloni! Ecco, i termini ‘si configurava’ e ‘Interazione fertile’ sono da abolirsi sia in un articolo di giornale che in un romanzo, anche di quelli pubblicati su Internet. Attualmente la citata ‘interazione’ avviene col mezzo televisivo, magari se si ha molto seno e le labbra prominenti…. Sono questi i valori aggiunti che spianano la via. Altro che…

 

Secondo Zola il giornalismo è il mezzo migliore per attingere «una conoscenza più dolorosa, ma più penetrante del mondo esterno». Ciò, a tuo avviso, è vero solo per l’800 o può essere esteso anche al nostro secolo?

Il nostro secolo non ha più giornalismo. Ha trasmissioni brevissime in TV che debbono colpire lo spettatore nel più breve tempo possibile e riassumere, con pochissimi fotogrammi, i drammi di una guerra, di un gesto delittuoso o di una catastrofe. Il fine è lo stesso, ma crea più impressione una foto che un articolo scritto da Zola.

 

Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi dello scrittore-giornalista?

Lo scrittore può essere solo scrittore, dedicarsi a ciò che più gli piace e, magari, vivere di altro lavoro. Deve ‘combattere’ solo con se stesso e l’editore. Il giornalista è il dipendente di un’azienda, molto politicizzata e con perenni problemi di quadrature di bilancio. Deve obbedire al capo redattore, al direttore, all’editore, agli amici politici, alle amiche dei potenti, alle mafie organizzate e deve evitare un licenziamento sempre impellente. I pochi scrittori-giornalisti oggi in circolazione hanno capito tutto, sono bene introdotti e gestiscono amicizie e complicità con ottimi risultati…

 

Quanto il tuo lavoro di giornalista incide sul modo di fare narrativa?

Ho la fortuna di pubblicare qualcosa nella pagina che non legge nessuno, cioè la vecchia ‘terza pagina’. Sono piacevolmente costretto, per questo, a leggere decine e decine di libri freschi di stampa. Questo mi aiuta molto a evitare grossolani errori nella stesura di una storia, confrontando ciò che hanno scritto gli altri con quello che avrei scritto io…

 

Inizialmente e nei suoi anni d’oro, la III pagina era la palestra del “bello scrivere”, oggi, secondo te, almeno la pagina di cultura ha mantenuto questo carattere?

No, la recensione di un libro la fa chiunque, anche chi non sa scrivere, E la maggioranza dei lettori legge solo il titolo del pezzo, guarda la fotografia, se c’è, e scorre l’articolo solo se interessa l’argomento. Chi nota più l’ortografia, la punteggiatura e il bello stile nell’epoca degli sms?

 

A parer tuo, esiste un confine tra letteratura e giornalismo? (Se e) quando l’uno interferisce nell’altro?

Premetto che quello che dico io è un’opinione strettamente personale e per nulla condivisibile… Perché un testo diventi ‘letteratura’ ci vuole tempo. C’è una polemica sottile, ad esempio, per stabilire se Camilleri e Vitali entreranno nella ‘letteratura’ riguardante questo periodo storico…

 

Per il giornalismo, poi, non esistono parametri. Mi dici così, sul momento, il nome di tre grandi giornalisti contemporanei che fanno solo giornalismo, quello vero?

Dai retta a me: si va in TV, si ha una bella presenza e un amico onorevole. E il gioco è fatto. Altro che Buzzati, altro che Scerbanenco!


Approfondimenti
Bibliografia

– G. Alfeltra, S. Cirillo, “Dal giornalismo alla letteratura”, Milano 1994;
– F. De Sanctis, “La Terza pagina ieri e oggi”, in “Giornalismo e letteratura” (a cura di) G. Costa, F. Zangrilli, Roma 2005.

 

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