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socialismo e liberalismodi Fiorenza Taricone
Rispetto a tanta ricchezza di particolari, le pagine di Blanc riservate alle sue contemporanee che conosceva anche personalmente, se non altro perché a lui coeve e politicamente vicine, tradiscono una disattenzione. Eppure, alcune delle protagoniste del ’48 furono perseguitate come lui, subirono il carcere, ripararono in Inghilterra, quindi furono delle proscritte |
al pari suo, fondarono riviste, mantennero coerentemente le stesse idee, subirono veri e propri rovesci familiari; soprattutto teorizzarono la necessità di un sistema associativo, come spina dorsale di un nuovo ordine, fondando anche alcune associazioni che ebbero vita ancora più difficile di analoghi organismi maschili.
L’unica eccezione, nelle menzioni di Blanc era la figura di George Sand, ma si trattava di un’eccezione che, al di là delle assonanze politiche fra i due, per le comuni posizioni socialiste, era invece una riprova della scarsa considerazione in cui Blanc tenne le strategie politiche femminili del ’48; la famosa scrittrice, infatti, rifiutò con sdegno la candidatura politica che altre femministe le avevano proposto, negando che fosse un diritto da rivendicare, almeno in quel momento e quindi trovandosi in sintonia con L. Blanc.
Non solo il ’48, ma il decennio compreso fra il 1830 e il 1840 furono. come è ben noto ormai, particolarmente ricchi per la storia del femminismo politico francese. I giornali fondati e diretti dalle donne diventarono sempre più numerosi, anche se ebbero, quasi sempre per motivi finanziari, vita breve. Il femminismo di matrice sansimoniana, l’anello ideale che congiungeva le donne della rivoluzione con quelle della generazione immediatamente successiva trovò nelle pagine de «La Femme Libre» fondata nel 1832 da Marie-Reine Guindorf una tribuna adatta. Scritto solo da penne femminili, invitava a collaborare ledonne di tutte le classi, le pagane e le cristiane. Sotto la direzione di Suzanne Voilquin[1], cambiò in «La Tribune des Femmes», avvicinandosi anche al fourierismo. L’emancipazione femminile si legava all’indipendenza delle colonie e alla prostituzione, determinata quest’ultima dalla dipendenza economica e da una mancata educazione e istruzione professionale. Le donne dei ceti borghesi attraverso «La Gazette des Femmes» (1836-1838), più genericamente, condannavano ogni abuso perpetrato a danno del loro stesso genere; il giornale borghese e cristiano «Le Journal des Femmes» teorizzava il giusto mezzo, condannando sia gli eccessi della libera morale sansimoniana, sia l’austerità della dottrina cristiana, affrontando il tema del divorzio che derivava anche dalla pratica dei matrimoni combinati.
I1 ’48 ebbe l’effetto di rinvigorire i temi e le lotte del femminismo precedente, assumendo toni chiaramente socialisti. «La Voix des Femmes» diretto da Eugénie Niboyet fu il primo giornale femminista della Seconda Repubblica. Tra le collaboratrici si ritrovano Suzanne Voilquin, Désirée Véret, Elisa Lemonnier[2] e Jeanne Deroin[3]. Nel primo numero, 19 marzo 1848, era riportato il principio alla base delle loro lotte: Una nuova concezione dell’esistenza implica una rivoluzione per tutti e per tutte. Succederà il periodico «La Polittque des Femmes», diretto dalla Deroin, ma la repressione seguita alla rivoluzione farà tacere per quasi un anno la voce dei giornali. Sarà sempre Jeanne Deroin a editare «L’Opinion des Femmes», che denuncerà proprio gli ostacoli alla libertà di stampa. Molte di loro, come Suzanne Voilquin, Jeanne Deroin, Jenny d’Héricourt[4], Flora Tristan[5] non erano né nobili, né agiate, né istruite per diritto di nascita; simpatizzanti o discepole del sansimonismo e del fourierismo, erano, per alcuni versi, socialiste come Blanc.
Il 5 marzo, l’articolo 6 del decreto emanato dal governo provvisorio stabiliva che erano elettori tutti i francesi dai ventuno anni in sù. Nei giorni successivi, si precisarono le eccezioni: condamnations, faillites, aliénation. Nella locuzione “tutti i francesi”, non erano evidentemente comprese le donne. Il 16 marzo, Antonine Andrée de Saint-Gilles, a nome di un gruppo di artiste, operaie, letterate, insegnanti e altro, indirizzò al Governo e al popolo francese, una petizione, piena di riferimenti alle sacre scritture; riferendosi al principio sansimoniano della coppia sociale, precisava che il popolo sovrano era composto dai due sessi. Jeanne Deroin inviava quattro lettere reclamando l’eguaglianza dei sessi per il diritto di voto. Il Comitato dei diritti della donna faceva recapitare ai delegati dell’Hotel de Ville, il 22 marzo, una petizione: In nome del principio dimostrato dall’esperienza, che gli uomini che fanno le leggi le fanno a loro vantaggio, e per conseguenza a danno di quelli che sono privati di questo sacro diritto, voi proclamate che l’élection est pour tous sans exception. Chiediamo quindi se le donne sono comprese in questa generalità, come lo sono per quanto riguarda i lavoratori. La petizione non ebbe alcun effetto: Marrast le ricevette affabilmente, ma non impegnò in alcun modo il Governo. La risposta fu che, non avendo mai, le donne goduto di questo diritto, non si poteva ristabilirlo, e poteva farlo solo un’Assemblea Costituente.
Non potendo votare, scrisse allora Eugénie Niboyet ne «La Voix des Femmes», la donna poteva però sostenere i candidati degni di rappresentare il sesso femminile all’Assemblea. La scelta cadde su Ernest Legouvé, titolare di un corso al Collège de France sulla condizione morale delle donne, e su George Sand, sulla scia di una candidatura femminile precedente, quella di Pauline Roland, che viveva nella comunità fondata da Pierre Leroux, a Boussac; si era presentata come candidata per il rinnovo dei sindaci, ma le si rifiutò l’ingresso nella sala dove si votava; la Roland pretese che tale diniego fosse annotato nel verbale della seduta. George Sand, che si era entusiasmata per la proclamazione della repubblica, fondato «La Cause du Peuple», e si faceva vedere pubbli camente al fianco di Blanc, Barbès, Ledru-Rollun, sembrava l’unica a poter incarnare la candidatura. E. Niboyet la sostenne con un’argomentazione che derivava direttamente dalle caratteristiche dell’individu social: la rappresentante che godeva delle nostre simpatie “c’est le type dell’un et une”, maschio per la virilità, femmina per l’intuizione divina e lo spirito poetico, George Sand.
La risposta della Sand fu altera e sdegnosa. In una lettera aperta inviata non a «La Voix des Femmes», ma a «La Réforme», qualificava la proposta come una pretesa ridicola. Affermava di non aderire ai principi delle femministe raccolte nella rivista, e in un articolo apparso nei «Bulletins de la République» pubblicava un articolo in cui si opponeva ai diritti politici per le donne, concludendo che, anche nel caso in cui la società avesse guadagnato dall’ammettere le donne alla gestione degli affari pubblici, le donne povere non avrebbero invece guadagnato nulla. L’appoggio di Cabet era più gratificante che reale. Icaria non riconosceva le cittadine e nella Société fraternelle centrale le donne avevano il ruolo di uditrici. Anche lui si riservava di studiare la questione e le elezioni avranno luogo senza la partecipazione femminile.
Dopo gli avvenimenti di febbraio, società e periodici si moltiplicarono. Altri Clubs, come Cabet, ammettevano le donne: Club des Amis Fraternels, Club de la Montagne, Club de l’Emancipation des Peuples. Ma le donne ne fondarono di propri: le Comité des Droits de la Femme, l’Union des Femmes, e il Collège médical des Femmes, la Société de l’Emulation des Femmes. Il 6 giugno il Prefetto annunciava il loro scioglimento; erano oggetto di sarcasmi e attacchi da parte della stampa, la costituzione del gruppo delle Vesuviane era ampiamente schernita. Di quest’ultime, si prendeva in considerazione solo l’abbigliamento maschile, le baionette, il progetto di servizio militare, ma in realtà si trattava di un’associazione operaia.
[1] Suranne Voilquin (1801-1876/77), si definiva una figlia del popolo, come, in effetti, era. Il padre di professione faceva il cappellaio a Parigi, ma fu rovinato dai debiti. Ricamatrice, completò gli studi di medicina a Parigi nel 1838, ma visse sempre in condizioni d’indigenza. Sansimoniana convinta, dal 1830 al 1838, tenne conferenze e organizzò incontri; dal 1832 collaborò al periodico «La Femme libre», di cui assunse poi la direzione e nel 1834, dopo l’uscita dal carcere di Enfantin. condannato assieme a Michel Chevalier; rispose all’appello di Le Père, partendo per l’Egitto alla ricerca della femme-messie. Al suo ritorno nel 1836, fondò un’organizzazione per le ragazze madri, lei che aveva perso abortendo spontaneamente tre tigli in cinque anni, forse a causa della sifilide che il marito aveva contratto prima del matrimonio e tenuto nascosta; dopo due anni partì per la Russia, dove rimase fino al 1846, come attestano le sue Memorie di una sansimoniana in Russia. Dal 1849 al 1859 e poi di nuovo nel 1860 soggiornò in America. Rientrata in Francia, visse e morì da povera in una casa di cura. Su di lei, l’unica traduzione italiana delle Memorie di una figlia del popolo, a cura di G. CONTI ODORISIO, Firenze, Giunti, 1989.
[2] Marie-Juliette-Elisa Grimailh nacque a Sorèze nel 1805 da genitori protestanti. Si avvicinò giovanissima alle predicazioni sansimoniane, e sposò nel 1831 Charles Lemonnier, professore di filosofia. Il suo progetto più riuscito furono le Scuole professionali femminili, laiche ed economiche fondate nel 1862. Su di lei, A. ANTEGHINI, Pace e federalismo Charles L.enronnier, una vita peri ‘Europa, Torino, Giappichelli, 2005, capitolo I.
[3] Jeanne Deroin (1805-1894), era una cucitrice. Vicina alle teorie socialiste, riuscì a studiare Saint-Simon, Fourier, Cabet, superando con caparbietà tutti gli ostacoli e creò una scuola per l’istruzione dei figli dei poveri, in cui educò anche i suoi tre bambini. Durante la Rivoluzione del ’48, con altre donne come Pauline Roland, Désirée Gay, Eugénie Niboyet, Adèle Esquiros, fondò il Club dell’emancipazione delle donne e collaborò a diversi giornali femministi. Fu candidata all’Assemblea Legislativa del 1849 per sollevare il problema della elettività femminile. Sposò civilmente un impiegato ministeriale di cui non volle mai portare il cognome. Lottò per l’espansione delle associazioni operaie, vietate dalla legge Le Chapelier fin dal 1791. Con Pauline Roland, fondò nel 1850 l’Union des associations fraternelles des travailleurs, basata sulla produzione secondo i bisogni e sulla solidarietà di gruppo. Sul punto di nascere, la federazione delle associazioni, progetto cui lavorava insieme ad altri compagne e compagni, fu sciolta nel 1850, come rfugio di pericolosi cospiratori; fra gli arrestati, la Deroin e Pauline Roland, condannate a sci mesi di carcere. Quando uscì, trovò il marito in preda a gravi squilibri mentali, a seguito della perdita del lavoro per le sue opinioni politiche e i figli dispersi. Minacciata dopo il colpo di stato del 1851, trovò rifugio in Inghilterra, dove visse dando lezioni di francese; continuò la divulgazione delle idee femministe pubblicando gli Almanacchi delle donne, nei quali sosteneva l’uguaglianza tra i sessi, la diffusione dell’istruzione e la necessità delle associazioni fra i lavoratori.
[4] Jeanne Marie Fabienne Poinsard, nota come Jenny d’Héricourt (1809-1875), figlia di un doratore di orologi, conseguì il diploma di istitutrice e dopo la separazione dal marito, dai costumi piuttosto liberi, studiò anatomia, fisiologia e omeopatia. Alla fine del 1858 acquisì il diploma di maîtresse sage-femme, unica istruzione di tipo medico concessa alle donne. Libera pensatrice, sansimoniana, razionalista, femminista, progettò di fondare un movimento organizzato chiamato Apostolato delle donne. Scrisse anche su «La Ragione», il periodico diretto dallo spretato Ausonio Franchi, massone e patriota, lodato nei suoi scritti da Daniel Stern e paragonato a Lamennais. Insieme a Pauline Roland, la d’Héricourt fondò nel 1850 I’Union des associations fraternelles des travailleurs, basata sulla produzione secondo i bisogni e sulla solidarietà di gruppo. Con Jeanne Deroin e Juliette La Messine, rappresentò una delle voci più forti contro le teorie profondamente misogine di Proudhon. Si veda anche F. TARICONE, Democrazia e lavoro, in Per amore, per forza, per/dono: donne, lavoro e politico, a cura di M. FORCINA, Lecce, Università del Salento, 2008.
[5] Flora Tristan, (1803-1844) nasce illegittima, da padre peruviano, appartenente ad una ricca famiglia di Lima, e da madre francese povera. Per aiutare la famiglia, lavorò come colorista e sposò giovanissima il padrone André Chazal, nel 1821. Il matrimonio si rivelò disastroso e Flora abbandonò il tetto coniugale, e diventò dama di compagnia. Per sfuggire al marito che la minacciò e arrivò a spararle, per la custodia dei figli, decise d’imbarcarsi per il Perù, per chiedere alla famiglia del padre una parte dell’eredità. Dopo il ritorno nel 1835, scrisse il racconto Le peregrinazioni di una paria e partì verso l’Inghilterra per un’inchiesta nelle prigioni, nelle fabbriche, in Parlamento, nelle fìnishes, sorta di bordelli di lusso, osservazioni raccolte nelle Passeggiate londinesi, analizzando le conseguenze della Rivoluzione industriale. Molto toccata da quanto aveva visto, in Francia scrisse un manuale destinato agli operai di entrambi i sessi L’Union Ouvrière. nel quale indicava come soluzione dei problemi della classe operaia, la solidarietà e l’unione di tutti i lavoratori. Si ammalò e morì durante una delle sue “peregrinazioni” in patria, per andare a discutere nelle città più industrializzate il suo progetto. Si veda F. TRISTAN, Peregrinazioni di una paria 1833-1844, Trad. e Introd. G. Festa, Postfazione Fabrizia Ramondino, Napoli, La Città del Sole, 1998 e Flora Tristan Femminismo e socialismo. L’Unione Operaia, a cura di S. BORDINI, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976.
(Da Fiorenza Taricone, “Louis Blanc e Mme D’Agoult (Daniel Stern): socialismo e liberalismo”, Centro Editoriale Toscano, 2014, pp. 213-217).