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La 17enne pachistana
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I giudici del Nobel hanno deciso di dedicare questa edizione del Premio alla lotta contro lo sfruttamento dei minori per fini economici: i bambini devono “andare a scuola e non essere sfruttati finanziariamente”, hanno scritto nelle motivazioni.
“Sono davvero felice di condividere questo premio con una persona dell’India”, ha detto parlando di Kailal Satyarthi, insignito insieme a lei. “Ho ricevuto una telefonata da Kailash” ha detto la ragazza pachistana e “abbiamo deciso di collaborare per migliorare i rapporti” tra Pakistan e India e perché “vorremmo che tutti i Paesi parlassero di pace e sviluppo”.
I due premiati sono un’hindu (Satyarthi) e una musulmana (Yousafzay), l’uno accanto all’altra, a simboleggiare la possibilità di dialogo tra due paesi che per anni hanno combattuto per la nascita di un paese di indiani musulmani e, ancora oggi, per il controllo della regione di confine del Kashmir. Proprio a questo scopo la giovane pakistana ha lanciato un appello ai presidenti dei due paesi: “Prendete parte insieme alla cerimonia di consegna dei Nobel per la Pace”, che si terrà a Oslo il 10 dicembre, un primo passo, forse, verso il compimento del processo di pace.
La 17enne Malala Yousafzay, oltre ad essere uno dei simboli dei diritti dei minori, è stata premiata anche perché ha vissuto sulla propria pelle la violenza dello sfruttamento e della violazione dei diritti dei bambini: “Nonostante la sua giovane età – osserva il Comitato – Malala Yousafzay già da anni combatte per i diritti delle bambine all’educazione e ha dimostrato con l’esempio che i giovani possono anche loro contribuire a migliorare la situazione. E lo ha fatto nelle circostanze più pericolose: attraverso la sua battaglia eroica, è diventata una voce guida per i diritti dei bambini all’educazione”. Malala diventa così la più giovane persona ad aver ricevuto il premio, “record” detenuto da Lawrence Bragg, Nobel per la Fisica nel 1915 a soli 25 anni.
La sua battaglia comincia ad appena undici anni, quando inizia a tenere un blog per la BBC sotto pseudonimo, poi trova l’immenso coraggio di mostrare il suo volto in televisione.
“Se un talebano verrà da me, mi toglierò un sandalo e lo userò per schiaffeggiarlo”, dice a una presentatrice.
“Ma lo sai che i talebani hanno bombe e pistole?- le fa notare un altro giornalista- Ti diranno che sei una ragazzina, che hai quattordici anni, quindi devi obbedire e basta”.
“Mostrerò ai talebani il Corano, lo stesso libro che usano per giustificare le loro azioni. Da nessuna parte, nel Corano, c’è scritto che le ragazze non possono andare a scuola”.
Nel blog raccontava la vita di una bambina sotto il regime talebano nella Valle di Swat. Per questo suo impegno nella lotta per i diritti delle bambine in Pakistan, subì un attacco da parte di guerriglieri taliban: il 9 ottobre 2012, mentre tornava da scuola in bus, un miliziano salì sul mezzo e sparò due colpi che la colpirono alla testa e al collo “non perché lottava i favore dell’istruzione femminile – dichiareranno i Taliban pakistani successivamente – ma perchè faceva propaganda contro di noi e contro la Sharia”.
L’allora 15enne venne trasportata d’urgenza all’ospedale di Peshawar e poi trasferita in condizioni critiche a Birmingham, dove venne operata e salvata. Da quel momento in poi, il suo attivismo subì un’accelerata: storico il suo discorso alle Nazioni Unite del 12 luglio 2013. Per il suo impegno, la giovanissima pakistana ha ricevuto, l’anno scorso, il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.
“Voglio fare politica, voglio servire questa nazione. I nostri politici sono pigri, abbiamo bisogno di leader onesti”. Queste le incredibili parole pronunciate in TV da Malala Yousafzai, la più giovane candidata al Nobel per la pace, una guerriera non bellicosa che a soli undici anni ha avuto il coraggio di alzare la voce in un Paese in cui, per una donna, è già difficile alzare gli occhi senza chiedere il permesso. “Parlo per chi non ha voce, i talebani non mi ridurranno al silenzio”, così ha parlato al Palazzo di Vetro dell’ONU. “Non uccideranno mai i miei sogni”.
Malala è sopravvissuta all’attentato e non è stanca di lottare contro chi vuole togliere alle donne i loro diritti, in primis quello allo studio. L’appoggio della sua famiglia è determinante: suo padre gestisce una scuola per ragazze, sua madre è una donna forte esattamente come lei:
“Mamma, ho un nuovo sogno!” esclama un giorno.
“Devo fare politica, per servire il nostro Paese. Ci sono troppe crisi. E io voglio risolverle, per salvare il Pakistan”.
“Malala, – le dice la mamma con dolcezza. – lo sai, puoi fare quello che vuoi della tua vita”.
Adesso vive a Birmingham con la sua famiglia, restare in Pakistan sarebbe troppo pericoloso anche per una ragazza coraggiosa come lei. Malala comunque prosegue nella sua battaglia e non ha intenzione di arrendersi. Il suo pensiero può essere riassunto in queste riflessioni: “Se alle nuove generazioni non verranno date penne, i terroristi daranno loro le pistole. Dobbiamo far sentire la nostra voce”.
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