La donna nella società egizia

Un raro caso di parità

tra le culture antiche

di Maria Pace

Nebet Per, ossia Signora della Casa, la donna egizia godeva di una posizione di rispetto e privilegio sconosciuta alle donne appartenenti ad altre culture del suo tempo, perfino i Greci si stupivano della sua libertà ed eguaglianza. “Raddoppia il pane che dai a tua madre e portala così come essa ti ha portato…”, è una delle massime moralistiche attraverso cui, nella società egizia, tende a manifestarsi quel vago matriarcato in cui si rispecchia la posizione della donna, paritaria con l’uomo.

 

 

Proprio  come accade nel campo religioso, dove le  Grandi Divinità Femminili (come Iside, Hathor,  Neith) rivendicano la parità con le  Divinità Maschili. Le varie statuette rinvenute nelle tombe, le scene parietali ci mostrano una donna assai bene inserita nella società lavorativa, seppure essa sia primariamente il pilastro della famiglia che a sua volta  era il pilastro della società, e come tale la donna egizia era rispettava e protetta.

 

Nonostante  l’istituto della poligamia e del concubinato, l’egiziano era essenzialmente monogamo e una sola era la Signora della Casa: quella che compariva sempre al suo fianco, perfino nelle pitture parietali delle tombe, nelle statue o stele funerarie.

Il gineceo egizio, l’harem, quel luogo proibito e misterioso, era appannaggio soprattutto del Faraone (per motivi politici) e di ricchi Funzionari, ma anche all’interno di un gineceo reale o privato, una sola era la Signora della Casa. E l’ideale di donna emerge chiaro dagli Inni a lei dedicati e dagli accenti appassionati di molte poesie d’amore i quali testimoniano che i matrimoni non fossero solo semplici unioni fra due persone, ma che alla loro base vi fosse l’amore.

Così ad esempio si legge in un papiro del IV  secolo a.C.:

 

“La sua sposa, la sua amata.

Sovrana di grazia, dolce d’amore.

Piacevole nei discorsi

Donna perfetta……”

 

e ancora:

 

“L’unica, l’amata, la senza pari

la più bella di tutte.

Ecco, guardatela:

è come le stelle fulgenti…”

 

La donna egizia è indicata con il termine senet, che vuol dire sorella, amica… ma, nei documenti giuridici è chiamata invece Hemet, che significa Sposa: proprio per la funzione che ella svolge in seno alla famiglia. La donna-sposa era molto influente nella famiglia, benché il matrimonio non fosse una istituzione legalizzata religiosamente o civilmente, ma solo una libera scelta di coabitazione fatta da due persone… scelta a volte, però, condizionata dalla famiglia.

Si deve aspettare il tardo periodo tolemaico per trovare un contratto matrimoniale, che in realtà indicava soprattutto eventuali disposizioni sulla proprietà e i relativi diritti economici degli sposi in caso di divorzio.

Indicativo il fatto che il diritto di discendenza – anche nelle Case regnanti, anzi soprattutto in esse –  avvenisse per parte materna. Non era raro, infatti, che un uomo avesse rapporti con altre donne della casa e che avesse altri figli. Tutti, però, legittimi.

 

La sposa egizia

Nello stato di donna sposata, essa poteva disporre e amministrare i beni ricevuti in dote o in eredità, le era accordato il diritto di comparire come testimone o di intraprendere azioni giuridiche nei processi. Non avendo tutori, era riconosciuta responsabile delle proprie azioni esattamente come gli uomini e come questi, se portata in giudizio, sottoposta alle stesse pene. In caso di vedovanza la donna egizia acquisiva il prestigio di capofamiglia, ereditava un terzo dei beni del marito e poteva risposarsi. Alla donna ripudiata e rifiutata, invece, spettava sempre un largo compenso. La causa di ripudio era quasi sempre la sterilità, ma si poteva ovviare attraverso l’adozione.

 

I ruoli di privilegio

Nella vita pubblica quanto in quella privata, la troviamo spesso impegnata in ruoli di prestigio e responsabilità, nonostante le cariche pubbliche fossero, in realtà, ricoperte soprattutto da uomini. Poche, infatti le donne che giunsero a detenere il potere supremo o a collaborare nell’attività politica: la regina Huthsepsut, nel  primo caso, la regina Nefertiti, nel secondo.

In campo religioso ricopriva spesso cariche di “Divina Adoratrice” o “Grande Sacerdotessa” di Divinità importanti come Sekhmet, Iside, Hathor; in campo amministrativo la si poteva trovare perfino a capo di un Dicastero come quello degli “Unguenti e Profumi”.

Nel privato si occupava della conduzione della propria casa, dell’educazione dei figli, dell’amministrazione di beni in proprietà con il marito e di altro ancora. La sua vita era facile e piacevole, vissuta quasi nell’ozio, tessendo o filando, tra feste e banchetti.

 

Le lavoratrici

Tutto ciò, naturalmente, se si trattava di donne benestanti. Le donne di più umile origine, invece, avevano vita assai meno facile. Tessevano e filavano anch’esse, ma oltre a ciò, si occupavano dei lavori domestici e di quelli dei campi e di altre mansioni, come tutte le donne del mondo, prima e dopo di loro. Partecipavano a ogni tipo di attività lavorativa, ma con preponderanza verso quelle domestiche: erano fornaie, mugnaie, birraie, spigolatrici, filatrici, tessitrici, contadine, nutrici, cantanti, musiciste.

Non solo lavori domestici, però. Le troviamo impegnate anche in attività amministrative con ruoli di responsabilità. Incontriamo un medico-ostetrico al femminile per donne e bambini, come Pesechet, della V Dinastia, ma anche donne dedite al commercio del vino e della birra – attività squisitamente maschile – e sappiamo di donne che svolgevano attività di giudice, scriba e perfino Visir (corrispondente al nostro Presidente del Consiglio dei Ministri).

 

Le donne del gineceo reale: senza diritti

Diversa, però, era l’esistenza all’interno di un Ipet, il gineceo reale. Qui, le donne vivevano in una condizione di recluse, all’interno di una gabbia dorata, con il solo scopo di arrecar piacere al Sovrano e senza nessuno dei diritti riservati alle donne comuni; scelte in tutto il Regno, quella condizione, però, era un grande onore per se stesse e le loro famiglie.

Approfondimenti (a cura delle Redazione)

La cosmesi e la bellezza nell’antico Egitto

La cura del corpo era molto importante per gli antichi Egizi, tanto che utilizzavano creme, unguenti e profumi per ammorbidire e profumare la pelle, indifferentemente uomini e donne. C’era una particolare attenzione al valore della bellezza, in più i prodotti usati nella cosmesi avevano un fine curativo oltre che estetico.

Certo per le donne la cura delle bellezza era più accentuata rispetto all’uomo. Le donne si schiarivano la pelle con un composto cremoso ricavato dalla biacca, disponibile in colori diversi, dalla più pallida alla più ambrata generalmente destinata alle labbra. Evidenziavano il contorno degli occhi con il kohl nero o verde, rispettivamente estratti dalla golena e dalla malachite. Le unghie venivano tinte così come le palme delle mani e dei piedi e a volte anche i capelli con una pasta a base di hennè. Esse utilizzavano specchi, pinzette per la depilazione e attrezzi per la manicure.

I profumi (utilizzati da uomini e donne come le creme), venivano estratti da fiori, fatti macerare e pigiati. Tutte le essenze odorose avevano nel dio Shesmu il loro protettore e i profumi venivano prodotti in laboratori associati ai templi e conservati in vasetti di pasta vetrosa, la faience.

 

Per saperne di più
“La donna egizia allo specchio” di Maria Pace

– “La cura della bellezza nell’Antico Egitto

Gli accessori per la cosmesi

 

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