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Associando al tema dell’amante-assassino anche quello della curiosità punita, inoltre, in alcune pubblicazioni inglesi d’epoca, la narrazione della fiaba di “Barbablù” viene introdotta dal titolo “The Popular Story of Bluebeard, or Female Curiosity”.
Il mondo esteriore e materiale di Barbablù è costituito da oro, argento e ricami che danno l’impressione dello sfarzo barocco; ma c’è un neo che fa sì che questo sfarzo non attiri gli altri, infatti: “per sua disgrazia, aveva la barba blu e questa lo rendeva così brutto e spaventoso che non c’era donna, ragazza o maritata che, soltanto a vederlo, non fuggisse a gambe levate dalla paura.” La barba, che nasconde la bocca dalla quale esce una delle forme più alte del linguaggio, la parola, è resa ancora più oscura e minacciosa dal colore blu; il silenzio minaccioso sembra circondare la vita di Barbablù.
Ed ecco, poche righe successive, si aggiunge il mistero legato a quel silenzio: aveva sposato alcune donne ma erano scomparse senza lasciare alcuna traccia. Donne che scompaiono senza lasciare traccia è una realtà di sempre, fa parte del passato, appartiene alle fiabe e alla cronaca di oggi. Barbablù è un serial killer e, un giorno, ripetendo il suo rituale, parte per un viaggio e consegna alla giovane moglie tutte le chiavi di sua proprietà, con queste potrà aprire scrigni che contengono oggetti preziosi, mobili che custodiscono raffinati piatti in oro e argento ma, di fronte a tutta questa luce emanata dalla ricchezza, ecco di nuovo il buio, l’ignoto: tra queste chiavi c’è una piccola chiave “è quella della stanzina, che rimane in fondo al gran corridoio del pian terreno” e Barbablù ordina alla giovane moglie che mai dovrà aprire quella porta.
Così, consegnandole la piccola chiave d’oro, ma vietandole l’uso, le nega l’approvazione di conoscere i più profondi segreti della psiche femminile: è la chiave d’oro della conoscenza, e quindi della vita, che spesso le donne accettano di non usare senza il consenso dell’uomo. Le donne destinate a non lasciare traccia sono quelle che sanno e quindi devono essere eliminate.
Barbablù impedisce alla giovane donna di usare quella chiave che la porterebbe alla consapevolezza.
In “Donne che corrono coi lupi” leggiamo: “Nei misteri eleusini la chiave era nascosta sotto la lingua, a significare che il nodo […], l’indizio, la traccia si trovano in un insieme di parole, di domande-chiave”, dove la parola è legata alla chiave poiché entrambe possono aprire un varco verso il mondo ma possono anche chiuderlo, serrarlo: Barbablù è chiuso nel suo silenzio, mentre la giovane sposa vuole a tutti i costi usare la chiave per aprire e possedere la parola, mezzo per esprimere la propria creatività e la propria conoscenza. Aprire quella stanza oscura e vedere oltre il buio; in fondo il buio della stanza è lo stesso buio in cui è sommersa la storia delle donne.
Non conoscere ciò che sta sotto è l’imperativo che deve essere portato avanti con l’uccisione della donna creativa. E la conoscenza, nella fiaba, si trova in fondo ad un corridoio, da cui una piccola porta invita la fanciulla ad andare oltre, a disubbidire per poter “conoscere”. In tanta apparente bellezza si nasconde un luogo segreto e proibito. Come resistere alla tentazione? Abbiamo ancora una nuova Eva che viene messa alla prova? La fanciulla aprirà la porta e che cosa vedrà? Vedrà la carneficina del corpo e dell’animo delle donne che l’uomo-predatore porta avanti da sempre. Potrebbe essere quello il suo destino? Nella stanza ci sono scheletri, ossa di donne disubbidienti, ovvero assetate di conoscenza; i loro teschi sono posti a forma di piramide, simbolo di ascesa; il pavimento è un lago di sangue, lo stesso sangue che comincia a fuoriuscire dalla piccola chiave.
La chiave usata comincerà a perdere sangue, a sgorgare vita, a sgorgare parole: inutile per la fanciulla tenare di pulirla, la chiave non smette di urlare.
Perrault è stato anche accusato di misoginia, e questa fiaba avrebbe ancora un aspetto punitivo verso la disubbidienza della donna nei confronti dell’uomo. Ecco come Perrault descrive la giovane sposa: “…non si divertiva punto alla vista di tante ricchezze, tormentata, com’era, dalla gran curiosità di andare a vedere la stanzina del pian terreno. E non potendo più stare alle mosse, senza badare alla sconvenienza di lasciar lì su due piedi tutta la compagnia, prese per una scaletta segreta, e scese giù con tanta furia, che due o tre volte ci corse poco non si rompesse l’osso del collo.” Perrault non ha compassione per chi, come lui sa, sta andando incontro ad una probabile morte violenta, per Perrault, uomo del suo tempo, la donna disubbidiente sembra la colpevole. Aprirà la porta e vedrà quale fine l’attende per aver disubbidito: essere decapitata, così come è stato per le mogli precedenti di Barbablù. Ha il suo destino davanti agli occhi, ma, sarà evitato grazie all’arrivo dei fratelli, uomini-non predatori.
«Una matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano sulle montagne. Come sia arrivata al convento nessuno lo sa. Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quello che restava del suo corpo, perché nessun altro lo avrebbe toccato. Perché mai le monache conservino una siffatta reliquia nessuno lo sa, ma è vero. L’amica della mia amica l’ha vista con i suoi occhi. dice che la barba è blu-indaco per l’esattezza. E’ blu come il ghiaccio scuro sul lago, blu come l’ombra di un buco di notte. Questa barba apparteneva un tempo ad uno che dicevano fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di Barbablu. Si diceva corteggiasse tre sorelle contemporaneamente. Ma quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e così si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza, le invitò a una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e di nastri cremisi, sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli, e al piccolo galoppo si avviarono nel bosco.» (incipit della versione riportata in “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés)
Secondo il libro di Ernesto Ferrero, “Barbablù. Gilles de Rais e il tramonto del Medioevo”, il Barbablù di Perrault è stato un serial killer vissuto nel Medioevo che rispondeva al nome di Gilles de Rais, maresciallo di Francia ed eroe nazionale della liberazione di Orléans, compagno prediletto di Giovanna d’Arco. Questi, tra il 1432 e il 1440, è accusato di aver violentato e ucciso decine, forse centinaia, di ragazzi per il puro piacere personale; scoperto e processato, si pente e muore da santo.
Approfondimenti
Per saperne di più
– La Galleria delle Fiabe di Tiziana Ricci. La storia illustrata di Barbablù
*(immagine in evidenza: Illustrazione di Alessandra Cimatoribus)
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