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L’opera originale conosciuto come La ballata di Mulan, scritta nel VI secolo prima della dinastia Tang (386-581), è andata perduta, ma se ne conservano alcuni frammenti.
Qualcuno l’ha attribuita all’autore fu Liang Tao, scrittore e filosofo cinese, e cantastorie e commediografi, col tempo, ne hanno arricchito le sue avventure di numerosi dettagli.
Cosa narra la leggenda
Si narra che in seguito ai continui attacchi da parte delle tribù nomadi e degli Unni ai confini settentrionali della Cina, l’imperatore richiamò alle armi tutti gli uomini cinesi iscritti nell’elenco dei riservisti, tra cui Hua Hu, noto condottiero e padre di Hua Mulan. Nonostante la sua veneranda età e il suo debole stato di salute Hu decise di rispondere alla chiamata per onorare il nome della sua famiglia e dei suoi antenati. LA secondogenita Mulan però, data la salute del padre, era contraria e l’unico altro maschio della famiglia era suo fratello troppo giovane per il servizio militare. La chiamata, tuttavia, doveva essere obbligatoriamente assolta da qualcuno e Mulan decise così di arruolarsi travestita da uomo, usando il nome del fratello. Convinse i genitori, che sulle prime non erano affatto d’accordo e partì.
Sulla strada per il fronte ella incontrò altri coscritti, tutti diretti verso la guarnigione di confine. Una volta giunti a destinazione, essi udirono urla di guerra e si accorsero che il comandante delle truppe di confine era circondato dal nemico. A quella vista, prima ancora di essere formalmente arruolati, si gettarono senza indugi nel combattimento. Mulan si distinse subito per la sua arguzia nel salvare il comandante da una situazione senza via d’uscita. Da quel momento ella rese meritoriamente un servizio dopo l’altro e, senza mai che nessuno potesse nutrire dei sospetti sulla sua vera identità.
Dopo dodici anni di combattimenti e incredibili gesta, Hua Mulan fu nominata generale e successivamente comandante delle armate settentrionali , sempre mantenendo segreta di essere una donna. Intanto la risoluzione della guerra sembrava lontanissima e gli eserciti contendenti a un punto morto, quando una notte, Mulan, che stava compiendo personalmente un giro d’ispezione, udì a nord un battito d’ali di uccelli selvatici. Ella capì subito che gli uccelli dovevano essere stati spaventati dal nemico in avvicinamento e prontamente riferì al comandante il suo sospetto. Le truppe furono immediatamente schierate per predisporre un’imboscata alle forze nemiche pronte a un attacco notturno di sorpresa. Furono così gli Unni ad essere colti in contropiede in uno scontro decisivo e travolti mentre il loro comandante fu catturato da Mulan.
La guerra finì quindi proprio grazie a lei. Al suo ritorno ella fu colmata di onori imperiali e le fu proposto il posto di alto funzionario ma lei rifiutò per poter tornare a casa per aiutare e consolare i genitori ormai in tarda età.
Il comandante, che nutriva una riconoscente ammirazione e una crescente affezione per il suo giovane generale, le offrì la sua unica figlia in sposa. Mulan inventò una scusa dopo l’altra per rinviare la decisione. Per nulla convinto, il comandante si recò personalmente nella casa di Mulan con un seguito di vecchi compagni d’arme della giovane per sollecitare il matrimonio e con immensa sorpresa scoprono che il loro generale era una ragazza di grande bellezza. Questo però non scalfì la loro ammirazione per Hua Mulan.
Approfondimenti
Mulan al cinema
Nel dicembre 1998, l’eroina ha gli occhi a mandora con il nome Mulan, arriva sul grande schermo con una pellicola d’animazione di grande successo firmata dalla Disney.
Nel cartone animato sono presenti svariate digressioni rispetto alla fonte della leggenda, ma a conti ripercorre i momenti fondamentali della ballata. La giovane Fa Mulan, infatti, per impedire che il padre venga arruolato nelle milizie imperiali destinate ad arginare la minaccia unna, veste le armi (secondo il mito, i genitori, pur riluttanti, accettano la sua decisione, mentre nella versione disneyana ella fugge di notte) e si unisce all’esercito, dove, senza che nessuno dubiti della sua identità, compie grandi imprese, fino a guadagnarsi il grado di generale e un’offerta di entrare nell’entourage imperiale, che Mulan declina per ricongiungersi finalmente alla famiglia. Si aggiunge anche l’aspetto romantico, intrecciando alla narrazione storica l’incontro con Shang, figlio del capitano della truppa di Mulan, che di lei si innamora, ricambiato. Storia che troverà ulteriori sviluppi in Mulan II, sequel del 2004.
Se si escludono alcune “licenze poetiche”, comunque, la pellicola è risulta valida nel presentare la mentalità e le usanze cinesi dell’epoca e gli ideogrammi incisi sulle tavolette degli antenati sono autentici ideogrammi antichi.
Breve storia della donna nella società cinese
«Nell’antica società cinese, la donna dipendeva dall’uomo e trascorreva tutta la vita ad obbedirgli. Era una eterna minorenne, giuridicamente incapace e a cui l’uomo faceva sempre da tutore. Non aveva diritto nè all’istruzione né all’educazione, doveva solo stare rinchiusa a casa e darsi ai lavori domestici. Doveva tagliarsi i capelli fin dall’età di 15 anni e sposarsi all’età di 20 anni; era il padre che si dava da fare per trovarle un marito con l’aiuto di un intermedio.
La nascita di una femminuccia era un malaugurio. W. Durant scrive nel suo libro “Storia della civiltà: “I padri imploravano i dei nelle loro preghiere di avere dei maschietti,.. Non avere dei maschi era una fonte di vergogna e di maledizione per le madri perché erano più adatti delle femmine a lavorare nei campi e più bravi nei campi di battaglia. Le ragazze erano considerate un peso per i padri perché le educavano con pazienza per poi mandarle a casa dei loro mariti: si poteva giungere al punto di uccidere le figlie. Quando una famiglia aveva figlie più del necessario e le era difficile prendersi cura di esse, ricorreva ad abbandonarle nei campi perché finissero divorate dalle bestie feroci o dal freddo, senza per questo provare il minimo rimorso. Un vecchio detto cinese dice: ” Ascolta la moglie ma non credere mai a quello che dice”.» (in “La dignità della donna nell’Islam”, p.9)
Fino al 1911, anno della caduta dell’Impero, le donne infatti erano relegate nelle loro abitazioni, schiave della vita domestica. In quanto donne erano considerate esseri inferiori e non degne di un’istruzione adeguata. Loro era l’obbligo di rispettare i 3 Doveri d’Ubbidienza e le 4 Virtù (“sancong side”), valori imprescindibili per una brava donna cinese. L’obbedienza era dovuta al padre, ai fratelli e al mariti, o ai figli nel caso in cui la donna fosse rimasta vedova. Riguardo alle virtù invece ci si riferisce ad antichi precetti confuciani con i quali gli uomini legittimano la posizione subalterna e sottomessa della donna: conoscere e rispettare il proprio posto nel mondo; curare il proprio aspetto cosicché si risulti piacevoli agli occhi del marito; parlare poco; dedicarsi costantemente alle faccende domestiche. Ecco le quattro virtù di una moglie ideale.
A queste limitazioni sul piano sociale e psicologico, si aggiunge un grave impedimento fisico, che durante l’età imperiale, riguardò indistintamente le donne di ogni ceto sociale: i piedi fasciati (“guojiao”), i cosiddetti Loto o Gigli d’oro. Era una pratica tradizionale atroce, quasi una sorta di tortura, che ebbe origine a partire dalle classi più agiate, per poi diffondere ad ogni strato della popolazione femminile. Fin da piccoli, i piedi delle bambine venivano fasciati in modo sempre più stretto, in maniera tale che le ossa, durante la crescita, si spezzassero, provocando alle giovani dolori lancinanti. In tal modo i piedi venivano deformati e le ragazze perdevano la loro autonomia negli spostamenti, entrando però così nei canoni di bellezza cinese.
Questa sorta di tortura terminò con l’avvento del comunismo, non potendosi permettersi di perdere forza lavoro. Anche le donne, così come gli uomini, servivano per realizzare il progetto della Nuova Cina comunista. È un periodo in cui si assiste, per la prima volta, a un innalzamento delle condizioni di vita del genere femminile, almeno in città. L’intento di Mao era quello di stabilire pari diritti e doveri fra i sessi. Una parità che in realtà rispondeva a un’esigenza di ordine economico: incrementare la manodopera per aumentare i livelli di produzione. La presunta parità dei sessi, in età maoista, portò a un totale appiattimenti delle differenze di genere e a un’assimilazione forzata di caratteristiche maschili da parte delle donne. Queste di fatto persero all’improvviso la loro femminilità: parlare di matrimonio, figli e questioni simili divenne un tabù, perché ricordava le idee borghesi. La dittatura del proletariato non prevedeva differenze di genere né comportamentali né fisiche: stessa divisa verde per tutti, medesimo taglio di capelli, niente trucco. Alcuni gruppi di ragazze radicali arrivarono perfino a rasarsi i capelli, eliminando l’ultima traccia di femminilità. È il periodo delle Guardie Rosse (1966-1970), durante il quale la repressione della femminilità raggiunge il suo apice e le donne acquisiscono a tutti gli effetti una “configurazione maschile”.
Se negli ultimi quarant’anni la situazione però è nettamente cambiata nella città della Cina, lo stesso non vale per le donne che vivono in campagna, dove il genere femminile è ancora soggetto a forti discriminazioni. Le donne vengono maltrattate fin dalla nascita perché considerate solo una bocca in più da sfamare e, benché si occupino di tutte le faccende domestiche, vengono denigrate e d escluse dal mondo maschile.
L’unica attività ricreativa a cui posso dedicarsi è la creazione di circoli culturali, che è però malvista dalla comunità. Altro diversivo delle donne cinesi nelle campagne è il gioco d’azzardo che può provocare l’esclusione dalla famiglia e dalla comunità. Per questo insieme di ragioni, molte donne, che decidono di non trasferirsi in città a fare lavori umili e malpagati, tentano il suicidio. Non molti sanno, infatti, che la Cina è l’unico Paese nel mondo in cui il numero di suicidi delle donne supera quello degli uomini. Le contadine cinesi si uccidono tutt’oggi con il metodo usato secoli fa: ingerire pesticidi o veleni.