Le donne nelle tribù native americane

Il declino di un matriarcato


di Redazione

In quasi tutte le tribù degli Indiani d’America innegabile era il ruolo delle donne per il loro importante contributo all’economia e al buon andamento della vita quotidiana della comunità. In alcune tribù come gli Apache la famiglia era addirittura matriarcale.

 

 

I loro compiti erano innumerevoli: scuoiavano animali, affumicavano la carne, confezionavano tutti gli indumenti, anche i mocassini. Erano infatti espertissime conciatrici di pelli, riuscivano a renderla morbida come un tessuto: una donna era capace di conciare 4 pelli di montone all’anno). Inoltre raccoglievano la frutta, pestavano il mais e il miglio, cucinavano, montavano e smontavano le tende, e, naturalmente, accudivano i figli.

 

Tutti i compiti delle donne erano considerati onorevoli e dignitosi, nessun lavoro era ritenuto servile. Le donne native americane erano oggetto di premure e di attenzioni: a cominciare dal mattino, quando il marito spazzolava i capelli alla moglie, le faceva le trecce e le dipingeva il viso (se dopo divenne una questione di moda, all’inizio questo cominciò per il fatto che molte donne Lakota avevano una carnagione bellissima e molto delicata che mal sopportava il vento caldo e il sole bruciante delle pianure ). La moglie non prendeva il nome del marito né del suo clan e i bambini appartenevano al clan della madre.

 

Se la cerimonia del matrimonio era piuttosto semplice e diretta, il corteggiamento era, invece, un rito lungo che lasciava alla ragazza la facoltà di gestire la situazione. Un metodo molto diffuso era quello di mettersi sulla via dell’acqua e aspettare che le donne passassero per attingere l’acqua o per lavare i panni, afferrare il lembo della sottana o colpirla a distanza con dei sassolini. Se lei rallentava il passo significava che il corteggiatore aveva il permesso di affiancarsi e parlarle, se non era interessata lo avrebbe ignorato.

Altro tipo di corteggiamento era quello della coperta: i corteggiatori si presentavano dopo il tramonto davanti al tepee della famiglia di lei e chiedevano di sedersi accanto alla ragazza, avvolgendola nella coperta. Se lei gradiva, la conversazione si prolungava e non era raro che ci fosse qualche “approfondimento” reciproco della conoscenza del corpo dell’altro. Ma sempre da seduti, era vietato sdraiarsi sotto la coperta, se lei non gradiva, il corteggiatore veniva congedato in fretta.

 

La violenza sulle donne esisteva, ma era molto rara, forse anche perché la vendetta da parte della vittima era piuttosto dura e definitiva: le donne lakota, addestrate fin da piccole all’arte della macellazione, maneggiavano il coltello con molta facilità e quindi si può immaginare come potessero usare quest’abilità.

 

In caso di divorzio, la prassi non comportava nessun controversia, spesa nè avvocato: così come l’entrata della donna sanciva il suo ruolo di sposa, l’uscita dal tepee con le proprie masserizie significava la rottura del legame matrimoniale. Al marito non restava altro che “suonare il tamburo”: si portava al centro dei cerchi di tende e gridava “questa donna non è più mia. Chi la vuole se la prenda”. Se era la moglie a essere stanca del marito, lo buttava semplicemente fuori dal tepee e, se voleva, accoglierci un altro uomo non doveva dare nessuna spiegazione. Alla donna spettavano oltre la tenda (che già era sua), un cavallo da carico, tutte le suppellettili domestiche, tutti i coltelli tranne quelli da caccia e tutte le pelli che aveva conciato durante la vita matrimoniale (tranne quelle conciate esclusivamente per il marito). A lui spettavano il piumaggio, le armi, i cavalli da caccia e da guerra. Neanche troppe storie per l’affidamento dei figli: i piccoli, quelli che ancora dovevano arrivare alla pubertà, restavano con la madre, i più grandi andavano col padre. In genere i divorzi erano dovuti ai tradimenti, ma se un marito infedele non poteva essere punito dalla propria donna, la quale aveva solo il diritto di andare in collera e di divorziare, diverso era il caso di una donna infedele la punizione era peggiore: al primo tradimento il marito aveva il diritto di tagliarle una treccia, due se era particolarmente geloso, come sfregio.

 

Il matriarcato tra gli Indiani d’America
In alcune tribù come gli Apache e gli Irochesi la famiglia era matriarcale. Nel Settecento gli uomini irochesi erano impegnati in sanguinose guerre legate al dominio tribale sul commercio delle pellicce di castoro e alla lotta tra Inglesi e Francesi per il controllo del Nordamerica settentrionale, per cui le donne irochesi, rimanendo da sole nei villaggi, avevano nelle loro mani gran parte della gestione familiare ed economica, gran parte del loro potere veniva proprio dal fatto che erano padrone dei mezzi di produzione e della distribuzione dei beni di sussistenza, in quanto avevano la proprietà in usufrutto dei campi nei quali lavoravano; gestivano i prodotti della caccia del marito; distribuivano i beni materiali secondo il loro sistema di discendenza ed eredità matrilineare; organizzavano la gestione della casa; avevano ruoli culturali essenziali non solo economici, ma anche religiosi; avevano una loro parte nel commercio e ponevano la loro firma nei trattati.

 

È necessario però specificare che non tutte le donne assumevano questo grande ruolo, solo le cosiddette “matrone” o anziane della casa erano all’altezza del compito. Inoltre le matrone svolgevano importanti ruoli sociali:

– avevano il dovere di decidere dei matrimoni nel loro clan;

– organizzavano e partecipavano nelle cerimonie religiose e nelle festività;

– potevano decidere della sorte dei prigionieri o quanto meno influenzare il pensiero del consiglio ed infine potevano – secondo alcuni esprimersi politicamente solo all’interno di un controllo maschile delle cariche e potevano parlare in consiglio solo tramite un portavoce maschile, secondo altri pur essendo gli uomini in prima persona i partecipanti nei consigli, tuttavia essi erano dei semplici rappresentanti o delegati ufficiali delle donne – decidere quale capo eleggere per il consiglio ed eventualmente deporlo se considerato inadeguato al compito.

 

Tra le donne capo più famose tra le Algonchine della Costa Atlantica vi sono la semi-leggendaria Pocahontas e Cockacoeske. Pocahontas era una dei venti figli del grande capo Pohwatan che dà il nome alla confederazione Algonchina omonima, ma secondo una tradizione indiana che resiste ancora presso certe tribù, era la figlia preferita e per questo godeva di uno status speciale. È una delle “principesse” più famose della storia americana perché salvò John Smith, capo della colonia inglese della Virginia, dalla condanna a morte durante le guerre del XVI secolo e poi fu fatta sposare a John Rolfe. Chiamata con il nome cristiano di Rebecca andò in Inghilterra, fu ricevuta a corte come una aristocratica, ebbe un famoso ritratto e qui morì di malattia nel 1617. Suo figlio Thomas le sopravvisse senza macchia nè lode. Vi sono controversie sul nome indiano, perché alcuni dicono significasse in Powhatan “puttanella”, mentre la traduzione letterale è “pene”, tuttavia probabilmente quello che in realtà il nome indicava era la completa libertà sessuale che le spettava come donna, riconosciuta dai membri della sua tribù. Pocahontas creò scalpore a corte perché come aristocratica “principessa” figlia di un “re” indiano aveva sposato un borghese come Rolfe.

 

Una sua nipote, Cockacoeske, “regina” dei Pamumkey, indossò il mantello di Powhatan, come capo principale della Confederazione Powhatan della Virginia nel 1656 e lo portò per trent’anni, tentando di ricostruire l’importanza perduta del suo popolo e dimostrò grande acume politico. Fu vittima della cosiddetta Ribellione di Bacon, dal nome di uno schiavista che si ribellò al governatore della Virginia perché non gli concedeva totale libertà nel razziare schiavi indiani e liberare il territorio dalla popolazione indigena, ma riuscì a fuggire. Come risarcimento la Corona Inglese le inviò doni preziosi fatti fare su misura dagli artigiani reali. Alla sua morte le successe la nipote, la “regina” Anna, che governò nel primo quarto del XVIII secolo.

 

Anche le Cherokee godevano di grande prestigio politico. Facendo riferimento al Consiglio delle Donne, John Adair nel XVIII secolo affermava che i Cherokee erano stati per un considerevole periodo di tempo sotto il governo delle “sottane” e stavano emergendo, come tutti i popoli irochesi, dal loro periodo matriarcale. Il Consiglio delle Donne aveva a capo la Donna Amata della Nazione, la cui voce, secondo Adair, era considerata quella del Grande Spirito che parla attraverso di lei. Le donne del Consiglio avevano il potere di determinare la sorte dei prigionieri e la decisione era presa dalla Donna di Guerra con il voto del Consiglio e trasmessa tramite staffette all’intero distretto. Le Donne di Guerra portavano il titolo di Donna Venerabile e il loro potere era così grande che potevano liberare un disgraziato condannato dal consiglio e già legato al palo della tortura con un cenno del ventaglio di ala di cigno.

 

Altrettanto potere avevano le donne di lingua irochese più settentrionali, appartenenti alla confederazione Urone o alla Lega degli Irochesi. Un gruppo di donne aristocratiche era a capo dei clan matrilineari e possedeva la riserva dei nomi importanti, cioè i nomi-titolo che davano accesso a prerogative e potere politico

 

Le tribù del Sudest, tra cui i Cherokee, adottarono il cristianesimo e la schiavitù dei neri e all’inizio del XIX secolo tracciarono una costituzione che toglieva il diritto di voto alle donne, ottenendo così la qualifica di Tribù Civilizzate. L’ultima Donna Amata dei Cherokee, Nancy Ward, diede le dimissioni nel 1817, a favore della legge costituzionale scritta e dell’accettazione del sistema parlamentare e solo dopo più di un secolo i Cherokee hanno ritrovato una donna capo: Wilma Mankiller, capo per due legislature.

 

Nelle società algonchine del XVII e XVIII secolo esistevano anche donne che non si sposavano affatto: erano le Ickone ne Kiowssa o Donne Cacciatrici, che accompagnavano i cacciatori nelle loro spedizioni, erano padrone del loro corpo quindi potevano avere rapporti sessuali fuori dal vincolo matrimoniale e i loro figli erano integrati nella famiglia, con l’unico conseguenza di non poter entrare nelle famiglie dei grandi guerrieri o capi.

 

Il contatto e in seguito il dominio delle culture cristiane per parecchi secoli hanno influenzato le culture indigene in vario modo e in particolare ne hanno prodotto la patriarcalizzazione, spostando la struttura socioeconomica da egualitaria a dominata dall’uomo. Uno degli effetti che ne seguirono sulla sfera spirituale vede d’un tratto gli spiriti femminili intesi, sul modello della Eva biblica, come malvagi. Il declino della spiritualità femminile fu parallelo al rapido declino del ruolo sociopolitico e di status delle donne indiane.

 

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