Matteo Ricci, l’Apostolo del Celeste Impero


Il missionario italiano che fece conoscere l’Occidente in Cina. E viceversa


di Sergio D’Amico

Se si domandasse a un cinese quale sia l’italiano più famoso nel suo Paese, probabilmente ci si aspetterebbe che facesse il nome di Marco Polo; o, al più, quello di un contemporaneo (per esempio, Pavarotti). Invece, si rimarebbe stupiti nel sentirlo rispondere: “Matteo Ricci”. Un nome sconosciuto ai più, in Italia. Ma popolarissimo nel grande Stato asiatico. Si tratta, infatti, del Gesuita marchigiano che, fra il XVI e il XVII secolo, fece conoscere – per primo – la cultura occidentale nel Celeste Impero. Nonchè, la civiltà cinese nell’Europa Cristiana. Il tutto, nel reciproco rispetto di due mondi, così diversi fra loro.

 

 

 

 

 

 

Una coraggiosa vocazione e una grande intuizione 
Matteo Ricci nacque nel 1552 a Macerata, da nobile famiglia, e iniziò gli studi nel locale Collegio dei Gesuiti all’età di nove anni. Particolarmente attratto delle discipline scientifiche, nonchè dagli ideali della Compagnia di Gesù, si trasferì a Roma dieci anni dopo, e divenne allievo del Padre Cristoforo Clavio, l’astronomo tedesco che aveva realizzato la riforma del calendario, promossa da Gregorio XIII. Affidato al missionario Alessandro Valignano, lo seguì nella sua trasferta in India, nel 1578. E, quattro anni dopo, fu scelto, proprio da Valignano, per fondare la prima missione in Cina.

La cosa non si presentò facile, dato che l’Impero si era chiuso, già da alcuni secoli, a qualunque contatto che provenisse dall’Occidente cristiano. Per vincere la diffidenza dei locali, e conquistarsi – quindi – la fiducia delle Autorità, Ricci iniziò a vestirsi con abiti cinesi, e a imparare la lingua e la cultura del Paese che lo ospitava. Aveva capito, infatti, che, per proseguire nella sua missione, doveva farsi accettare dai cinesi, rispettandoli per quelli che erano; e non cercare di imporre loro la sua fede e la sua cultura. O, per meglio dire, dovette adeguare le conoscenze e la mentalità occidentali alla visione del mondo propria del grande Impero orientale.

Un esempio in merito fu rappresentato dalle carte geografiche, da lui realizzate in omaggio alla traduzione letterale del nome dell’Impero cinese: “Regno di mezzo”. Queste mappe, infatti, riportano il territorio imperiale al centro della carta, invece che nella parte destra, come si è abituati a fare in Europa.

Un cammino lungo, ma ricco di soddisfazioni
Li Madou (nome con cui i cinesi avevano ribattezzato Ricci) non si limitò, comunque, alla Geografia. Nel corso della sua permanenza in Cina (che si prolungò fino alla sua morte, avvenuta nel 1610), il Gesuita compilò un dizionario cinese  – portoghese, e tradusse diversi libri di matematica, astronomia e geometria nella lingua del Paese che lo ospitava. Inoltre, fece conoscere ai cinesi strumenti fino allora sconosciuti, come il sestante e l’orologio meccanico. E fu proprio questo ritrovato a aprire al Gesuita marchigiano le porte del Palazzo Imperiale.

Fino a quel momento, Ricci aveva soggiornato in diverse province dell’Impero, ma gli era sempre stato negato l’ingresso nella capitale. Ciò, in quanto, diversi membri dell’élite politica e religiosa vedevano con sospetto – e, a volte, con ostilità – la crescente fama che il missionario stava guadagnandosi in tutta la Nazione. Ma la volontà dell’Imperatore di riformare il calendario allora in corso in Cina rendeva necessario l’uso di uno strumento preciso e affidabile per la misurazione del tempo.

Il dispositivo importato dal Gesuita, insieme alle conoscenze astronomiche del suo proprietario, risultò decisivo per l’ingresso a Corte di Li Madou, nel 1601. Da allora in poi, la fama di Matteo Ricci crebbe a dismisura nel Celeste Impero; e lui potè proseguire, praticamente indisturbato, la sua opera di evangelizzazione del grande Stato orientale. Nel corso della sua esistenza, infatti, il missionario convertì al Cristianesimo circa tremila cinesi.

Una memoria solo in parte condivisa
Durante la sua vita, Matteo Ricci comunicò regolarmente ai suoi Superiori quanto vissuto e osservato nel grande Paese asiatico. Alle minuziose descrizioni degli usi e costumi delle popolazioni locali si accompagnavano attente riflessioni sulla filosofia e la religione cinesi; soprattutto per quanto riguardava gli aspetti relativi alle similitudini fra il pensiero buddista e confuciano e quello cristiano. Ma non mancavano certamente osservazioni su argomenti a prima vista più umili, e legati alla vita quotidiana; come il processo di fabbricazione della ceramica, l’allevamento del baco da seta, l’irrigazione delle campagne, e la realizzazione della carta di riso.

In definitiva, il missionario italiano fece realmente conoscere la Cina all’Occidente, e l’Occidente alla Cina. Ma, mentre la sua fama è ancora viva in Oriente, non altrettanto si può dire in Italia. Il Paese che gli ha dato i natali ha, infatti, dimenticato abbastanza in fretta questo suo illustre figlio. Il suo nome è conosciuto, ormai, soltanto a una ristretta cerchia di studiosi; per lo più, storici della Scienza e della Religione, nonchè cultori della storia cinese. Ma, da questo punto di vista, colui che ha evangelizzato il Celeste Impero non è – purtroppo – solo. Ci sono tanti altri italiani che, nel corso dei secoli, hanno fatto cose per cui il nostro Paese dovrebbe essere orgoglioso. E che dovrebbe imparare a onorare più degnamente.

Per saperne di più
Bibliografia

– G.B. Magliano, “ Il Celeste Impero scopre l’Occidente”, in “Cahiers de Voyage”, Alessandrini Biondi Editore, 1994.

– G. Andreotti,  “Un Gesuita in Cina. 1552 – 1610: Matteo Ricci dall’Italia a Pechino”, Rizzoli, 2001.

– M. Ricci, “Della entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina”, Quodlibet, 2010.

– Idem, “Descrizione della Cina”, Quodlibet, 2011.


 

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