Un romanzo sociale che sa di disperazione e speranza
di Emanuela Boccassini
L’ultimo lavoro di Daniela Palmieri, “Con tutto il cielo in gola”è un romanzo sociale, ambientato nella Lecce contemporanea. L’autrice, con uno stile semplice e scorrevole, dal ritmo incalzante, racconta, senza veli, le vicende degli abitanti del quartiere periferico ‘167’. Un quartiere nel quale “quel brulicare di anime in pena, è stato una speranza, una promessa”. Il quartiere dove “i ricordi servono a poco, raccontano di un tempo che non è solo trascorso, ma che ha deluso” le aspettative e dove la gente si sente “tranquilla” solo per la quotidianità e la ripetitività delle azioni e si spaventa se si allontana dalle “abitudini”. |
Con estrema sincerità e oggettività, Daniela dipinge i volti, le anime e i pensieri dei vari personaggi, che, di volta in volta, prendono la parola ed esprimono se stessi, senza paura di mostrarsi per quello che sono davvero, con difetti e pregi, limiti e desideri. La narrazione affonda, quindi, le sue radici nella realtà. Una realtà fatta di miseria e disperazione, solitudine e rassegnazione, dolore e disinteresse.
“Con tutto il cielo in gola” è un romanzo corale, nel quale alle voci che inizialmente sembrano le principali, Antonio e Matilda, se ne uniscono altre – Anna, Faustino, Maria Luisa, Irina, etc. -, che rendono l’armonia completa ed essenziale, perché ciascuna si mischia e si confonde con le altre. Tutte queste voci, pur differenti nel modo di affrontare i problemi e di vedere la vita, hanno molto in comune: un’esistenza fatta di sacrifici, di sofferenza, di rabbia, di vuoto nell’anima, tristezza e vergogna.
Ciascun personaggio rappresentaun mondo a sé,un mondo in cui agisce solo per raggiungere i propri scopi, perché ciascuno ha un obiettivo, un motivo per cui alzarsi la mattina, lavorare, lottare e impegnarsi. Ma Antonio e Matilda sembrano rassegnati alla vita. Soffrono in silenzio, senza cercare l’aiuto di nessuno, si rintanano nella loro angoscia e nei ricordi, nei sogni mancati per quello che hanno perso. Il loro atteggiamento contrasta, per esmpio, con quello di Faustino, Anna e, per alcuni versi, di Beba. Tutti e tre si alterano, vivono e combattono per ciò che desiderano, per migliorare la propria vita. La prendono di petto e sanno giudicarla. I due protagonisti, invece, sembrano spaesati, incapaci di modificare il corso della loro esistenza. Eppure, particolarmente interessante è la dicotomia tra Antonio e Matilda: lui è un uomo adulto che si comporta da ragazzino, lei è una ragazzina che si comporta da “vecchia”.
Antonio rispecchia la società moderna, quella dei sogni disattesi, dove “ragazzi e ragazze si esercitano nel talento del nulla per prepararsi ad un futuro di notorietà. Affidano lo loro speranza – illusione alla voce, al corpo o a qualche altra misteriosa capacità che sentono d’avere. Poi crescono, si fanno maturi e tristi, niente li ha sottratti al quartiere o alla vita fatta di piccola quotidianità e se ne meravigliano, colpevolizzando se stessi o qualcun altro che è a loro vicino, una moglie, un marito, i figli, i genitori ingombranti che non hanno creduto in loro”. Antonio è un ‘vinto’ dalla vita, dalla fortuna che lo ha abbandonato, perché non ha saputo assecondarla. Vinto da se stesso che non è stato in grado né di adattarsi ai cambiamenti, né di costruire un’esistenza, un futuro.A inasprire il suo dolore c’è il confronto con il padre, dal quale esce sconfitto. Lui è senza lavoro, senza una compagna, senza prospettive. Pensa solo al divertimento, a fare il galletto con le ragazze, di cui si stanca presto. Il padre, invece, era “uomo fatto”, era amato, rispettato e ricordato come uno sempre disponibile e altruista, che sopportava la fatica e aveva la “forza essenziale e necessaria per vivere”. Ma soprattutto “ha fatto in tempo a essere felice”.
Mentre Antonio “si vergogna di sé, di quello che non è riuscito a fare, la strafottenza nasconde la colpa di non aver saputo approfittare delle opportunità”. Il suo dolore si trasforma in rancore e indifferenza, tanto chenon si accorge di nulla. Non si accorge di aver offeso Matilda, non si accorge dei sacrifici della madre, che rinuncia alla propria felicità per amor suo, perché lo vede “fragile” e ne “sente il dolore”. Non si rende conto della malinconia che offusca i propri occhi rendendolo meno affascinante.E il suo “sorriso beffardo” non inganna più nessuno, forse nemmeno lui stesso.
Matilda è la speranza per il domani. La speranza di saper arginare la sofferenza, di accettarsi, di sorridere alla vita, lottando per costruire qualcosa di imperituro. Lei, che troppo presto ha avuto a che fare con la morte, ogni giorno teme che questa possa bussare nuovamente alla sua porta portandole via un altro membro della famiglia. E allora il solo vedere la mamma, Beba e la nonna vive tutte le mattine è fonte di gioia. Ma, per una ragazzina di sedici anni, questo non basta. Dovrebbe divertirsi, uscire con gli amici, avere un ragazzo e non rinchiudersi in casa, seduta sul divano a guardare la tv accanto a due differenti generazioni (madre e nonna). Il suo dolore si trasforma in silenzio e insicurezza, infatti è sempre introversa e taciturna. Tuttavia vorrebbe un’amica, vera, che non solo fosse in grado di capirla, ma soprattutto sapesse sostenerla e incoraggiarla, darle consigli su come liberarsi del pesante fardello che ha dentro e di quello che indossa per coprire il suo corpo. Ma Matilda è una ragazzina che ha l’età dalla sua parte, lei è ancora in tempo, per tutto, per sognare, per desiderare, per vivere.
– Daniela Palmieri, “Con tutto il cielo in gola”, iQdB edizioni 2016.