![]() La musa dalle spesse lenti di Eugenio Montaledi Chiara Listo «[…] Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo Partendo da questi versi, scritti dalla maestosa penna di Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981), l’intenzione è riflettere sull’amore e sulla morte. O, per meglio dire, su ciò che rimane dell’amore, dopo la morte. |
Anche se nei versi finali de “L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili”, come in qualunque altra poesia di Montale, si possono ravvisare moltitudini di significati diversi, a dispetto dei motivi per i quali il poeta li aveva scritti. E non è questo, forse, il più grande merito della poesia magistralmente composta?
Dopo aver sognato e percorso ricordi, dopo aver letto queste due righe, viene da chiedersi a chi pensasse in quei momenti.
Lei era più grande di Montale di ben dieci anni, ed era già stata sposata. Proveniva da una famiglia importante di Milano: era nipote di Eugenio Tanzi e sorella di Lidia (la madre di Natalia Ginzburg). Si chiamava Drusilla Tanzi e fu l’amata, miope, moglie di Montale.
L’unica donna che gli rapì il cuore?
Certo no. Più volte Drusilla minacciò il suicidio per evitare che il marito fuggisse qua e là tra l’Europa e l’America dalle sue “altre” donne. Montale stesso racconta che la frenò due volte dal commettere un gesto folle per evitare che lui andasse via, che si allontanasse. E Montale rimase, e la sposò.
Cosa c’è quindi di tanto particolare in questa storia, che sembra “normale” lessico famigliare?
Se non è tanto la vita, è il modo in cui Eugenio sopravvive a Drusilla, e soffre, e medita, e capisce ciò che la figura di questa minuta donna miope gli ha lasciato dietro. Cosa lei gli ha insegnato senza che lui se ne rendesse nemmeno conto, e quanto l’ha in realtà avvinto a sé.
Non a caso, dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1963, Montale si chiude in sé stesso e medita sulla mancanza di Drusilla in modo tutto suo, partorendo dalla sua penna ben ventotto poesie dedicate alla moglie. Poesie che andranno a confluire nella raccolta Xenia (pubblicata nel 1966).
«Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell’alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di esser visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello».
Cosa lascia Drusilla ad Eugenio?
Il coraggio, prima di tutto.
Il poeta la cerca, tra il ticchettio della sua telescrivente e il fumo evanescente dei propri sigari. Desidera vederla comparire, desidera che la donna gli indichi la verità di tutto, così come riusciva a fare in vita. Montale si affida a Drusilla, ai suoi sensi, al suo “infallibile radar” che smaschera le bugie e le rende nuda, scomoda ma sublime verità.
E così, ancora una volta, il soprannome scherzoso affibbiato a Drusilla diventa un affettuoso senhal per indicare la donna che l’aveva condotto per mano fin dentro i luoghi della sua anima. Mosca, a causa degli occhiali fondi, oggetto con il quale Drusilla si affacciava al mondo e lo faceva proprio. E senza gli occhiali di lei che “sbrilluccicano”, il poeta si sente nudo e preda di tutto. E finalmente capisce tutto l’amore che non finisce in morte. Ma continua.
Sempre e per sempre.
Tutto ciò che Eugenio Montale prova viene esaltato in una delle poesie più commoventi conosciute. Una poesia che è un inno all’amore eterno e alla bellezza perfetta di due cuori che battono all’unisono. Nonostante la nebbia. Nonostante i dolori.
Attraverso la vita e oltre la morte.
«Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.»
Approfondimenti
Bibliografia
– E. Montale, “Satura”, sez. Xenia I e Xenia II
– N. Ginzburg, “Lessico famigliare”
L’ incipit ,da solo, vale la bellezza dell’intera e breve poesia.