Una mostra fotografica del reportage
|
Sono passati più di cento anni dalla Grande Guerra, la prima guerra mondiale. Gli echi sembrano ormai lontani, sopiti, non fanno più parte del XXI secolo, d’altronde vi è altro a cui pensare, le urgenze belliche contemporanee si moltiplicano e richiedono tutta la nostra attenzione. Tanti, purtroppo, sono ancora i conflitti che lacerano il Pianeta, falcidiando esseri umani, distruggendo l’ambiente e la fiducia nel futuro. Il passato urla in silenzio la sua storia per scongiurare il ripetersi di abominevoli errori ma rimane testimone inascoltato, dimenticato.
Eppure, guardando le fotografie di Stefano Torrione, oggetto di un importante reportage pubblicato sull’autorevole rivista internazionale National Geographic, quei relitti, testimoni abbandonati a sé stessi in panorami mozzafiato, ci riportano al nostro quotidiano, a ciò che siamo, a quello che vediamo ogni giorno sui media e che tanti ancora stanno disgraziatamente vivendo sulla propria pelle.
La straordinaria bellezza della Natura di questi luoghi, ora famosi centri turistici da copertina, era un tempo teatro oscuro di una delle più devastanti linee di trincea del Novecento: lungo la cresta di confine tra il passo dello Stelvio e l’altopiano carsico migliaia di vite andarono perdute, una generazione semi cancellata dalla scelleratezza del potere. Una follia che fu presagio di un conflitto mondiale ancora più cruento, il secondo, segno che l’esempio e i moniti non servono a nulla quando “ci sono sordi che non vogliono sentire”, come recita il proverbio.
Oltre i 3000 metri, in paesaggi d’incanto, oggi si ascolta la pace immensa del silenzio incantato della Montagna, ma allora, in quei maledetti 4 anni, fra la neve ed i ghiacci, si sentivano il rumore assordante dei cannoni, le urla dei soldati, i tramestii, le canzoni degli Alpini, i sospiri e le lacrime versate sulle lunghe lettere dal fronte. Quel dolore riempiva lo spazio infinito lassù, trasformando la bellezza maestosa e selvaggia delle vette in paura vivida, fredda e subdola ed il gelo dei ghiacciai in sangue caldo colante.
Si rabbrividisce osservando gli oggetti di uso quotidiano e gli armamenti rudimentali dei soldati, ragazzi gettati in pasto alla morte in trincee, gallerie, baracche gelide. Poco e scarso era il loro equipaggiamento, leggero ed inadatto a quelle temperature rigide, il termometro qui può scendere sotto i 30 gradi. Miseri gli effetti personali che ridavano la dignità alle singole identità, laddove la propria umanità si sviliva fra fango e freddo polare. La vita di comunità diventava uno sbiadito triste ricordo, balsamo amaro che non scaldava abbastanza l’anima né il corpo.
Complice il riscaldamento globale sono riemerse dall’oblio ovattato della neve perenne disciolta le tracce dimenticate della Grande Guerra: trincee, filo spinato, muretti a secco, scatolette di latta, oggetti da toeletta, fotografie e tanti reperti che muti raccontano una storia silente di uomini, donne lontane ma anche del sistema socio economico e culturale di quel tempo.
Le fotografie a colori scattate oggi da Torrione e quelle storiche in bianco e nero dialogano con i reperti esposti in mostra, ieri ed oggi si specchiano invitando il visitatore a riflettere. Con la loro vivida testimonianza cruda e veritiera accendono emozioni e stimolano la meditazione sul senso stesso della vita e del futuro.
Approfondimenti
“La Guerra Bianca – 1915-1918 Vivere e Morire sul Fronte dei Ghiacciai”. Mostra fotografica di National Geographic
Fotografie di Stefano Torrione
Forte di Bard
Bard (Ao)
29 Marzo – 14 Ottobre 2018