La Calavera Catrina

L’icona messicana del Día de Los Muertos

di Sara Foti Sciavaliere

L’immagine rappresenta uno scheletro di donna vestito solo di un cappello in stile di inizio XX secolo. La Catrina ha un’origine letteraria e artistica oltre che simbolica e di ribellione. In particolare poi diventa un’icona del Día de Los Muertos, o Giorno dei morti messicano.

Questo scheletro ben vestito è stato eletto come un simbolo popolare della Morte dal pittore e artista messicano Diego Rivera (1886-1957), anche se le sue rappresentazioni non sono state le prime, ma ne è stato il precursore il fumettista e illustratore messicano José Guadalupe Posada (1852-1913) famoso appunto per le sue illustrazioni dei Calaveras (teschi). La primissima fu un’acquaforte creata tra il 1910–1913 che Posada usò come ritratto satirico di quei nativi messicani che – secondo l’illustratore – avevano l’aspirazione di adottare tradizioni aristocratiche europee nell’epoca della pre-rivoluzione.La storia della Catrina inizia infatti durante i governi di Benito Juarez, Sebastian Lerdo de Tejada e Porfirio Diaz: è in quegli anni che cominciarono a diffondersi testi scritti per la classe media che criticavano la situazione del Paese e delle classi più privilegiate. Queste pubblicazioni, chiamate “de combate”, erano accompagnate da disegni di scheletri e teschi. Rappresentavano quindi una critica alle classi agiate durante il periodo della Rivoluzione Messicana.

Tra tali pubblicazioni, divennero famose le illustrazioni di Posada: i suoi scheletri erano simbolo di una popolazione corrotta, ben vestita fuori ma “morta” dentro. I suoi disegni di scheletri, chiamati inizialmente “La Calavera Garbancera”, simbolizzavano chi pur avendo sangue indiano fingeva e si atteggiava come europeo rinnegando la propria cultura. Altre volte questi scheletri addobbati simboleggiavano la falsità della classe agiata.

Sarà poi nel 1947 che Diego Rivera darà infine a questi scheletri l’aspetto con cui li conosciamo oggi, con l’iconico cappello di piume e gli abiti eleganti, creando La Catrina, come parte femminile del Catrìn, che significava un uomo elegante e ben vestito e facendola apparire nella sua opera “Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central”.

Cosa rappresentano i calaveras nella cultura messicana?
Le calaveras sono i teschi legati alla tradizione funebre centroamericana, particolarmente sentita da queste popolazioni, e che assume connotazioni decisamente differenti da quelle europee. Essi nascono come prodotti dolciari consumati durante le celebrazioni del Día de los Muertos, il corrispettivo precolombiano delle cristiane Festa di Ognissanti e Commemorazione dei Defunti, per poi evolversi col tempo in giocattoli, sculture e maschere da portare in processione.

L’esperienza della morte è vissuta in questa parte di mondo in modo allegro e giocoso fin dai tempi degli Aztechi. La morte assume un connotato positivo perché annunciatrice di una condizione migliore, celebrata in antichità con sacrifici volontari in onore della Dea della terra e della vita Coatlicue, rappresentata figurativamente con una maschera della morte. A conferma di ciò, i templi aztechi erano arricchiti da sculture a forma di teschi.

I teschi di zucchero (generalmente di canna) o di cioccolato, decorati con coloranti vegetali di diverse tonalità, hanno anche una funzione ornamentale degli altari allestiti nelle case e sulle tombe dei defunti, assieme al cibo, alle bevande e a tutto ciò che il caro estinto di turno amava consumare in vita, in modo da omaggiarne la memoria affinché ascolti le preghiere di parenti ed amici.

La presenza della Catrina sui coloratissimi altari, “le ofrendas”, che sono allestiti in occasione del Dia de Los Muertos, per le strade e nei locali del Messico, testimoniano quanto questa figura sia divenuta un’icona imprescindibile di questa cultura, un elemento distintivo ben lontano dal culto dei morti cristiano-cattolico carico invece di dolore, rimpianto, oppressione e paura. La Catrina ci ricorda il nostro destino, è vero, ma ci invita contemporaneamente a goderci la vita sinché siamo in tempo e a ridere con lei e di lei.

Approfondimento
La differenza tra la Calavera Catrina e la Santa Muerte
Un’altra figura emblematica, spesso scambiata erroneamente per la Catrina di Posada, e sovente presente nel corso dei festeggiamenti dedicati al Dia de Los Muertos, è quella della Santa Muerte, la Niña Blanca (la Bambina Bianca) come la chiamano affettuosamente – e allo stesso tempo timore reverenziale – i suoi devoti, ma conosciuta anche come La Flaquita (la scheletrica), o ancora come la Dama Poderosa (la donna possente).

Ora, mentre la Catrina può ben essere accolta all’interno di questa colorata e allegra ricorrenza, giacché ironica icona dai contorni apotropaici legato al culto degli antenati tipico delle culture del Messico, la recente comparsa della Santa Muerte in questo contesto tende a fuorviare per il diverso significato che questo idolo riveste. Da un punto di vista prettamente storico-antropologico il culto della Santa Muerte nasce con la crisi economica del Messico e dal conseguente aumento dell’emarginazione sociale, sebbene sia lecito ipotizzarne un’origine ben più antica, risalente alla religione azteca, mixteca e zapoteca – in particolare ci si riferisce alle divinità Mictlantecuhtli e Mictecacihuatl (dio e dea della morte) – o addirittura alla negromanzia delle tradizioni sincretistiche yoruba.

A conti fatti, sono state le condizioni socio-economiche del Messico moderno a generare le migliori condizioni di sviluppo del culto, poiché tale figura è finita per attrarre quei devoti che praticando esistenza pericolose, o avendo più in generale familiarità con la morte per condizione o estrazione sociale, ne hanno colto in qualche modo un potere di rivalsa, di riscatto. Il cuore pulsante della venerazione per la Santa Muerte è ubicato nel quartiere degradato di Tepito, a Città del Messico. Si tratta dell’angolo più antico della metropoli messicana, ma anche quello più pericoloso, malfamato. Ed è proprio in una delle sue vie, esattamente al n.12 di Calle de Alfarerìa, che c’è uno dei più famosi altari dedicati alla Niña Blanca, meta di un continuo e cospicuo pellegrinaggio.

Proprietaria di questo altare è la signora Enriqueta Romero, meglio nota come Doña Queta, la quale lo esibì per la prima volta al pubblico il 31 Ottobre del 2001, interrompendo in tal modo un lungo periodo di clandestinità. Infatti, prima di questa data Doña Queta già teneva in segreto le cerimonie, riservandole però solo ai vicini di casa o alle amicizie più strette, pur se pare accertato che altri altari fossero dislocati nel quartiere, custoditi molto gelosamente e tenuti lontano dagli occhi degli sconosciuti.

L’iconografia di questa “fede” ricalca totalmente quella cattolica, sostituendo la Vergine Maria con l’immagine di uno scheletro vestito di una lunga tunica, con la falce in mano, presentata in statue di diverse dimensioni e colori alle quali è rivolta tutta l’attenzione: i credenti, dopo un’adeguata offerta, richiedono alla Santa Muerte ogni tipo di grazia o protezione.

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