Al cinema la storia vera di tre donne
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La trama è semplice e al contempo straordinaria e potente: tre donne di colore negli anni Sessanta alle dipendenze della NASA, assunte per fare i “calcoli” per gli ingegneri aerospaziali proprio alle soglie dell’avvento dei “calcolatori” elettronici e dello sbarco sulla luna del 1969, lo spartiacque verso la modernità avveniristica. Donne che non si sono arrese al posto che la “società del tempo” aveva deciso per loro. Se il valore non è secondario, se il lavoro è all’altezza, se siamo identici fuorché nel colore di pelle o nel genere, perché non si è alla pari? Questione spinosa questa che nemmeno oggi si è risolta, il gap di genere è ancora uno dei punti da sciogliere in cima alla agenda del cambiamento sostenibile, per questo è importante mettere in evidenza i buoni esempi da conoscere e promuovere.
Il cambiamento inizia da noi, dalle nostre consapevolezze, dalla capacità di mettere in risalto le nostre capacità e talenti, di dar forza ai sogni sinché possano trasformarsi in realtà tangibile. Sta a noi superare i paletti e gli ostacoli che si frappongono al “goal”, a noi non cedere alla tentazione di arrendersi e lasciar perdere tutto. Così, Dorothy Vaughan, Katherine Johnson, Mary Jackson, le protagoniste de “Il diritto di contare” (e molte altre colleghe con loro…), hanno frantumato con la delicatezza della resilienza e con la straordinaria certezza nelle proprie capacità i muri di gomma dei pregiudizi.
Superare le barriere, rompere gli argini, è un meccanismo che spesso si avvia da gesti semplici, banali, talmente ovvi da passare inosservati; sottotraccia lasciano nascosta quella crepa che, una volta aperta, si lacererà facendo crollare anche le più robuste roccaforti. Ecco, molto banalmente, tutto inizia condividendo il WC aziendale, con una battuta da Oscar del capo di Katherine “non ci sono più bagni per bianchi e per neri, alla Nasa la pipì non ha colore!” , è stato quel primo passo che è arrivato sino alla Luna.
Senza mai perdere di vista l’obiettivo di “contare”, come donne, matematiche, informatiche ed ingegnere, hanno mantenuto la rotta con la forza della loro intelligenza, senza mai lasciarsi sopraffare dal mondo retrogrado che le circondava. Dorothy, Katherine e Mary hanno conquistato, da sole, traguardi mai raggiunti da altre donne sino ad allora. Tre splendidi esempi nella loro semplicità, quella che sa cambiare il mondo senza violenza, senza scontri.
Gli obiettivi, grandi o piccoli che siano, non si centrano se non ci si rimbocca le maniche con umiltà e pazienza, se si decide di mollare ai primi ostacoli, se non si ha fiducia in sé stessi e nella consapevolezza che il futuro sarà, e dovrà essere, un posto migliore ed egualitario per tutti.
Storie di ordinaria straordinarietà, non solo per l’indiscutibile talento posseduto e continuamente alimentato e coltivato, ma per la lungimiranza nel modificare strutture granitiche senza urla o violenze. Alla fine, è proprio così, è nel nostro quotidiano che possiamo cambiare il mondo, non servono imprese eclatanti, basta un minuscolo gesto per spostare l’ago della bilancia verso un mondo più sostenibile ed equo, per accogliere valorizzando il valore di ogni persona all’interno della comunità. L’intelligenza, la curiosità culturale, il miglioramento costante della conoscenza e dei propri talenti, la consapevolezza nelle proprie capacità, l’eguaglianza, la fiducia in sé stessi e negli altri, l’accogliere “l’altro”, l’empatia e la positività sono questi gli elementi fondamentali per un futuro davvero migliore ed inclusivo per ognuno di noi e per coloro che verranno.