Addio a Leila Janah, “l’imprenditrice dei poveri”

Stroncata da un tumore a 37 anni la donna
che ha creato 11mila posti di lavoro tra Africa e India

 

di Redazione 

Il mondo dell’imprenditoria è in lutto per la morte prematura di Leila Janah, conosciuta in tutto il mondo come “l’imprenditrice dei poveri”, che è deceduta nella sua casa di New York a soli 37 anni, lo scorso 24 gennaio, a causa di tumore ai tessuti molli, il cosiddetto sarcoma epitelioide, contro cui lottava da tempo. Con le sue due aziende, Samasource e LXMI, era riuscita a dare lavoro e speranza a più di undicimila persone tra Africa e India.

 

La notizia è stata però resa nota solo nelle ultime ore. Classe 1982 e figlia di immigrati indiani, era nata a Lewinston, vicino alle cascate del Niagara, prima di trasferirsi in un sobborgo di Los Angeles. Sin dai tempi delle scuole medie aveva cominciato a pensare di poter dare una mano ai meno abbienti, anche perché la sua stessa famiglia viveva in ristrettezze economiche. La vera svolta nella sua vita arriverà durante gli anni dell’Università (si laurea ad Harvard nel 2004), quando comincia a trascorrere le sue estati in Ghana per partecipare a un programma di insegnamento dell’inglese per i bimbi non vedenti. Il contatto diretto con le aree più povere del Continente Nero l’ha spinta a cercare di fare qualcosa di concreto per quelle popolazioni. Quel viaggio, dichiarò in un’intervista, “mi ha aiutato a capire come la povertà opprime le persone”.

Così nel 2008, dopo un periodo passato in una società di consulenza ed un’esperienza alla Banca Mondiale, Leila fonda in Kenya Samasource, dal sanscrito “Sama” che vuol dire “eguale”, con l’obiettivo di offrire una vita migliore a coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà. L’azienda dà attualmente lavoro a oltre 2.900 persone in Kenya, Uganda e India. La compagnia lavora nel campo digitale e fornisce consulenze, dati, progetti e strumenti poi utilizzati nei campi più vari, dai videogiochi alla meccanica per aut, anche a colossi del calibro di Google, Facebook, Microsoft, Getty Images e Walmart.

Poi, nel 2015 è arrivata anche LXMI, una linea di cosmetici di lusso, che impiega centinaia di donne povere lungo la valle del Nilo, in gran parte in Uganda, pagandole tre volte il salario medio locale, per raccogliere le noci Nilotica e trasformarle in un burro che viene esportato negli Stati Uniti per essere utilizzato nella produzione dei prodotti per la cura della pelle. In totale, nelle sue aziende hanno trovato una stabile occupazione circa undicimila persone. Neppure la malattia, scoperta qualche anno fa, ha fermata la sua missione, aiutare quante più persone possibili ad uscire dalla povertà, non con la beneficienza ma con la concretezza di un lavoro.

Leila Janah aveva di sicuro fatto suo un antico proverbio cinese che dice: “Se un uomo ha fame non regalargli un pesce, ma insegnagli a pescare. Solo così non lo avrai sfamato per un giorno, ma per sempre”. Buona e solidale imprenditoria la sua, che si auspica sia un esempio per altri suoi colleghi, per sostenere le sorti delle aree povere del pianeta, dove risorse non sono solo quelle naturali sfruttate dalle super potenze, ma anche quelle umane che non chiedono altro di vivere dignitosamente prendendo in mano la propria vita e il lavoro è un importante strumento di emancipazione.

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