Un docufilm schietto
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Tramontato, forse, il mito della svedese in vacanza, free e bellissima, oggi quando si parla di Svezia il pensiero corre automaticamente al design alla portata di tutti, grazie a mobili pratici e belli da montare facilmente a casa, sebbene, a conti fatti, i risultati non sempre siano, poi, davvero simili alle fantastiche ambientazioni dei negozi giallo blu. Ciò che si associa indelebilmente alla Svezia è perfezione, pulizia, puntualità, ordine, funzionalità e quadri famigliari numerosi e perfetti grazie a sussidi, servizi ed al lavoro flessibile.
A ciò aggiungiamo la natura mozzafiato, sconfinata e a volte un po’ matrigna se non lugubre, quanto meno questo è quello che traspare dai tanti thriller splatter nordici…
Insomma, un paese felice, che personalmente adoro.
Un quadro perfetto che si è incrinato quando mi sono imbattuta nel docufilm “La Teoria Svedese sull’amore” del registra italo svedese Erik Gandini. Un documentario molto schietto e diretto che apre una finestra piuttosto inquietante dietro l’ordine rigoroso delle case e dei ritmi quotidiani degli svedesi.
Inizia con il discorso di Olof Palme , primo ministro del partito social democratico, che nel 1972 disegnava il futuro della famiglia svedese suddiviso in unità autonome sorrette e sostenute non dal nucleo d’origine ma da servizi socio assistenziali ben strutturati che lo stato metteva a disposizione. Questo permetteva di essere, di fatto, indipendenti e “slegati” dalla cellula base familiare di origine. Detto così, di per sé, quanto meno per noi italici da famiglie di stampo “tradizionale”, ma nella realtà variopinte e caotiche, e costretti a navigare nel mare dai servizi socio assistenziali in stato di perenne tempesta di tagli e degradi, la teoria ci può sembrare perfetta.
Salvo che, nello scorrere dei fotogrammi, si scopre come in realtà il processo avviato da Palme abbia favorito una sorta di solitudine personale isolante e di un individualismo esasperato che persiste nel tempo e disgrega i rapporti profondi e i legami sociali. Scioccante scoprire che esiste un servizio di recupero salme dimenticate senza rimorso in appartamenti ordinati e funzionali, perché figli e parenti vari, ma manco i vicini, non hanno il tempo di ricordarsi delle esistenze altrui ed incuranti li lasciano decomporre nelle loro linde case senza sentimentalismi.
Talmente indipendenti e svincolati dai rapporti che non sentono il bisogno di partner per fare figli, non sembra necessario costruire una famiglia “arcobaleno” o “tradizionale” per procreare; quasi sia inteso più atto egoistico ed automatico, dovuto per dare il proprio contributo al mantenimento della specie, che non atto d’amore, che è, e sempre dovrebbe essere, l’elemento chiave della procreazione. Perché perder tempo nel costruire un rapporto e decidere di fare un/a figlio/a insieme? Ci sono cataloghi on line di donatori perfetti da scegliere ed un seme da ricevere comodamente a casa in provetta ed il gioco è fatto. Ma l’amore inteso nella sua pienezza “sentimentale” e fisica dov’è finito? Insomma, cari svedesi, ma pure vi togliete il piacere della sessualità e del contatto umano? Non stupisce, allora, che le persone vengano poi dimenticate in via di liquefazione!
Il quadro riguarda sia gli svedesi che i migranti, di ogni nazionalità, che si trovano a fare i conti con un mondo ben diverso da quello che avevano immaginato.
Inserirsi in una società simile, da immigrati, è difficilissimo, ci si sente soli e ai margini di un catalogo ben ordinato ma non inclusivo, nemmeno per i cittadini autoctoni in realtà lo è. Tutti percorrono esistenze racchiuse in bolle di solitudini imposte da un modello dal quale non è facile uscire. Ed allora quali sono i modi per superarlo? Difficile da scoprire, il registra individua gruppi di persone che cercano di farlo in modo pittoresco, ma a me sembra squilibrato e disarmonico. Dalla rigidità dell’individualismo cercano di evadere con un eccesso di “touch”, di abbracci e di corpo a corpo che a me, almeno da quanto lascia trasparire questo docu film, pare una ricerca disperata di un’armonia a casaccio senza una vera meta consapevole da raggiungere e da “sentire” davvero. Vi vedo scatole vuote e non l’emersione viva e vitale delle pulsioni fisiche e sentimentali libere dall’indipendenza forzata, pulsioni figlie dell’anima “animale” e del pathos in armonia con l’Universo.
Le immagini corrono ed un senso di tristezza per la condizione umana cresce, a me ricorda, la società svedese, un po’ la bambina incollata alla vetrina che desidera i balocchi mentre la madre s’acquista belletti e profumi incurante delle richieste della figlioletta. Una vita passata a guardare le vetrine, come noi ci perdiamo nei fantastici allestimenti di case finte giallo blu, testate da migliaia di potenziali acquirenti, sconosciuti ed indifferenti, che mai verranno abitate davvero perché sono create per il consumo.
Chiude “La Teoria Svedese sull’amore” il famoso sociologo Baumann con una frase emblematica: «La felicità non viene da una vita senza problemi, ma dal superamento delle difficoltà. L’indipendenza non è la felicità; alla fine porta ad una completa, assoluta, inimmaginabile noia.»
Senza il senso di condivisione, di comunità, di interazione empatica con il mondo, con l’altro, e anche con il nostro profondo, finisce, in sostanza, che nella vita, poi, “tutto il resto è noia” , come cantava il Califfo.
Un docufilm da guardare, per conoscere a fondo ciò che va oltre la superficie specchiante di una realtà che è ben diversa da quello che immaginiamo, perché tutto dipende, da che parte guardi il mondo, e non tutto ciò che luccica è oro.
Un’esperienza che fa riflettere su ciò che siamo e sulla nostra società. Abbiamo bisogno di trovare nuovi equilibri armonici tendenti ad una comunità aperta, inclusiva e interagente che non abbandona ma accompagna la crescita e i percorsi di ogni individuo, non dimenticando né escludendo nessuno.
“La Teoria Svedese sull’Amore” ha cambiato la mia visione della Svezia e mi ha fatto riflettere in profondità sull’importanza dei rapporti e delle relazioni di rete e di comunità, un ancora di salvezza e un modus vivendi più arricchente e colorato che va tutelato, sviluppato e incrementato per un mondo migliore.