di Frédéric Pascali
L’adattamento cinematografico, fruibile su Netflix, della singolare storia dell’Isola delle Rose, consumatasi nella seconda metà degli anni ‘60 del Novecento, ha il potere di stravolgere una vicenda che già di per sé offre notevoli spunti di fantasia. L’impresa riesce a Sydney Sibilia che ne cura la regia e la sceneggiatura, coadiuvato da Francesca Manieri, avvalendosi della consulenza di Walter Vetroni.
La trama
Il protagonista principale è l’ingegner Giorgio Rosa, ideatore e progettista dell’isola delle Rose e, soprattutto, artefice della sua proclamazione a stato indipendente, avvenuta il primo maggio del 1968 per pochi amici e il 25 giugno per il resto del mondo. Davanti alle coste riminesi, ma 500 metri oltre le acque territoriali italiane, sorge questo inedito esperimento che prende alla sprovvista i governanti dell’epoca e cattura l’attenzione dei media e di una vasta platea dell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Recensione di Frédéric Pascali
Sibilia ne ricava un racconto godibile, ottimamente fotografato da Valerio Azzali, ben strutturato nei movimenti della macchina da presa e adagiato su di una trama che strizza l’occhio al dramedy e alla ricostruzione storica finendo per far prevalere le dinamiche tipiche della commedia.Tuttavia l’idea di cambiare le carte in tavola con uno spostamento sistematico di date, ruoli e personaggi finisce per togliere mordente all’intera storia fino a banalizzarla eccessivamente.
Nella sua ricostruzione filmica Sydney Sibilia raffigura un giovane neoingegnere ribelle e idealista, interpretato da un Elio Germano sempre sugli scudi, che in realtà non è mai esistito. Giorgio Rosa all’epoca dei fatti era già sposato con Gabriella, nel film impersonata dalla talentuosa Matilda De Angelis, aveva una sua società, la SPIC, e un suo studio d’ingegneria. Era semplicemente animato da un’insofferenza, figlia anche del suo fiero passato repubblichino, verso le limitazioni di uno Stato con i suoi politici, a detta sua, succubi degli americani, dei sovietici e del Vaticano e, probabilmente, da ragioni economiche.
Un’acredine che il regista rappresenta caricaturando l’intero governo italiano dell’epoca con Giovanni Leone, Presidente del Consiglio di quel secondo semestre del ‘68, impersonato da Luca Zingaretti, corredato di un trucco posticcio degno del Muppet Show, e Franco Restivo, Ministro dell’Interno interpretato dal bravissimo Fabrizio Bentivoglio, relegato nella parte miserrima del super cattivo di turno.