di Sara Foti Sciavaliere
Il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha dato l’annuncio ufficiale del ritiro con un decreto presidenziale dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. L’accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011 a Instanbul – da qui noto anche comunemente come Convenzione di Instanbul – e firmato dallo stesso Erdogan, era entrato in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili fornendo ai governi aderenti linee guida legali.
Secondo alcuni analisti una decisione tanto controversa sarebbe stata dettata dalla volontà del Presidente turco di ingraziarsi la base più conservatrice del suo elettorato, sollevando però d’altro canto le proteste non solo dei partiti di opposizione, ma di una vasta frangia di popolazione e una reazione da parte dell’UE. Duro – a buon ragione – è stato il commento dalla segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric: “È un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne in Turchia, in Europa e anche oltre”. La convenzione “è stata firmata da 34 Stati europei ed è considerata lo standard internazionale per la protezione delle donne dalla violenza che subiscono quotidianamente”, ha aggiunto.
Secondo un’associazione che monitora i casi di violenza contro le donne, citata dal Financial Times, nell’ultimo anno in Turchia ci sono stati almeno 300 femminicidi, e 171 donne sono state uccise in circostanze sospette. Inoltre, soltanto nei primi 65 giorni del 2021 in Turchia ci sono stati 65 femminicidi. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità almeno il 40 per cento delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25 per cento.
Negli anni seguenti alla ratifica, Erdogan aveva spesso fatto riferimento alla Convenzione per dimostrare dei presunti avanzamenti della Turchia nell’ambito della parità di genere, ma negli ultimi anni le cose hanno cambiato passo, di pari a un governo che si è dimostrato sempre più autoritario: di fatto, la voce dei gruppi islamici più conservatori – dei quali fanno parte anche molti esponenti di rilievo dell’AKP, il suo partito, – hanno alzato ancor più i toni fino a sovrastare qualunque altra posizione, affermando che la Convenzione di Istanbul sarebbe contraria alle norme dell’Islam, minerebbero l’unità familiare, e incoraggerebbe divorzio e omosessualità.
In Turchia le voci di un possibile ritiro del Paese dalla Convenzione però serpeggiavano in realtà da più di un anno del ritiro, motivo per il quale negli scorsi mesi, in tutto lo Stato, ci sono state grandi manifestazioni contro la violenza sulle donne e contro l’ipotesi di ritiro, una delle ultime proprio l’8 marzo, Giornata Internazionale dei diritti delle donne.
Tuttavia il dato è tratto, il dietrofont è definitivo, se si leggono anche commenti come quelli del vicepresidente turco, Fiat Oktay, che su Twitter, riguardo alla decisione del ritiro dalla Convenzione, ha scritto che la soluzione per «elevare la dignità delle donne turche» sta «nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi», non nell’imitazione di esempi esterni.
E non si può non condividere i timore di Marcella Pirrone, avvocata di D.i.Re e presidente di Wave, Women Against Violence Europe, che afferma: «Per un Europa che si professa garante dei diritti umani per tutte le persone è inaccettabile. Questo ritiro rappresenta un precedente pericoloso». Un passo indietro inammissibile, al quale si teme possano seguire altri, vanificando gli sforzi di anni di battaglie per la difesa della dignità e dei diritti delle donne, e della parità di genere.